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Anche il sesso contribuisca – Diffusissima negli USA, ma anche nei paesi europei (Italia inclusa), è la pratica delle web-sex workers. Donne giovani e meno giovani che si esibiscono a pagamento, tipo “peep-show”, attraverso telecamere collegate al computer. Un lavoretto pulito pulito. Dall’altra parte, magari a distanza di migliaia di chilometri, c’è un maschietto che dice porcate assurde e si masturba chiedendo posizioni particolari, e di qua una ragazza o donna che asseconda, per poi passare all’incasso. Una sorta di prostituzione “non cruenta” che negli Stati Uniti come in Italia genera una quantità impressionante di soldi, sia per le fanciulle che si prestano, e sono moltissime, sia per i siti che le ospitano. Il tutto esentasse. Qualche utente insoddisfatto ci ha pensato e ha denunciato una decina di esibizioniste a pagamento all’IRS (una sorta di Agenzia delle Entrate americana), creando un casino, è il caso di dirlo, colossale. Ora le web-sex workers sono nel mirino del fisco e se qualcuno volesse dare un’occhiata anche alla situazione italiana, per quante sono le fanciulle che si prestano e i loro utenti, c’è la possibilità di risanare il debito pubblico.
Rolling Stone, da che pulpito! – Ha generato giusta indignazione la copertina di Rolling Stone Italia, che ha cercato di cavalcare l’ondata rosa della settimana scorsa titolando: “Italiani, popolo di poeti, navigatori e picchiatori di donne”. Più che indignazione, questo atteggiamento dovrebbe generare una rivolta se solo si sapesse ciò che pochi sanno. Ossia che la centrale operativa della rivista, Rolling Stone USA, non molti anni fa venne coinvolta nella montatura di un caso di stupro di gruppo all’interno di un campus universitario in Virginia. L’articolo della rivista generò un parapiglia, comportò la chiusura di una confraternita del campus, salvo poi risultare che era tutto falso, tutto montato (al solito, mi direte…). Rolling Stone dovette poi ritirare il suo articolo, ritrattare con onta e scusarsi. Diciamo pure che, con un precedente del genere, Rolling Stone dovrebbe solo tacere. Vabbè che già ci sta pensando il mercato a togliere di mezzo spazzatura stampata del genere.
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Futuro gender prossimo venturo – Si sa, gli USA inventano mode e tendenze che prima o poi, ahimè, arrivano anche da noi. Dunque tutti pronti a vedere accadere in Italia ciò che sta accadendo a un padre separato del Texas. Dopo la separazione, la madre si fissa che il figlio di sei anni è transgender. Per questo, quando è con lei, lo obbliga a vestirsi da bambina. Non paga, l’ha iscritto a scuola con il nome di Luna e si sta organizzando per portarlo da vari terapisti che gli gestiscano la transizione. Il papà, verificato, quando il piccolo è con lui, che questi non gradisce affatto né gli abiti né le abitudini femminili, ha protestato e si è rivolto alla giustizia. L’ha fatto anche la madre, accusandolo di abusare sessualmente del figlio nel negargli la sua natura transgender. L’esito? Il padre sta concretamente rischiando di perdere la custodia del figlio.
La mela e le donne – No, questa parte non ha carattere biblico. La mela è quella di Apple, la nota corporate americana leader nelle tecnologie informatiche e telefoniche. Una di quelle accusate di avere poche donne in organico e di pagare quelle che ci sono meno degli uomini. Un’accusa farlocca, che ha radici altrove che non nell’azienda, ma tant’è la pressione è arrivata. Non sapendo più cosa inventarsi, a parte l’obsolescenza programmata, per convincere i consumatori a comprare i loro prodotti, da quelle parti hanno pensato di trasformare la critica in un’occasione di marketing. Ecco dunque che apre un campus di studi tecnologici marchiato Apple per sole donne. La società di Cupertino non è l’unica: Google sta per seguire a ruota. E al di là della notizia in sé, della discriminazione realizzata su basi infondate, sarebbe interessante monitorarne gli esiti: quante si iscrivono, qual è il loro profitto negli studi e quante raggiungeranno posizioni apicali per merito, perché migliori dei colleghi uomini, e non per quella forma di preferenza dovuta all’invalidità civile di essere donna.
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In Francia non se la passano meglio – Se negli USA dilaga il delirio, i cugini d’oltralpe sono già ben indirizzati su un canovaccio ugualmente degradato. Al di là delle due teologhe che, come è ormai noto, stanno riscrivendo nientemeno che la Bibbia in chiave femminista (e la cosa può fare bene il paio con il Piccolo Principe), e in attesa che il Papa dia pure il placet a questa boiata, salta agli occhi la meno nota notizia riguardante il professor Philippe Soual. Una domanda: voi sapete chi è Hegel? Forse. Sapreste spiegare il suo pensiero? Sono certo di no. Ecco Soual conosce quel filosofo come fosse lui stesso, è uno dei maggiori esperti in Francia. Uno che, se la materia interessa, ti metti li e ascolti in religioso silenzio. A meno che tu non sia appunto in Francia. Lì è stato di recente cacciato con disonore da un convegno dell’Università di Tolosa per aver apertamente sostenuto le posizioni a favore del matrimonio tra uomo e donna. A caldeggiarne la rimozione i gruppi LGBT locali, che si sono sentiti offesi dalle sue prese di posizione. D’altra parte, mettersi lì ad ascoltare uno che ti parla di Hegel è troppo complicato. Volteggiare come fiocchi di neve, imporsi e congelare il libero pensiero è molto più semplice e di immediata soddisfazione.
Per la donna paga sempre pantalone – Lo Stato, nella sua funzione più propria, garantisce servizi minimi a chi non ha le risorse per permetterseli. Uno di questi è l’avvocato: se finisci in una causa ma non hai il becco di un quattrino, lo Stato paga per te (ma ti prendi un po’ l’avvocato che ti danno). Una disposizione sacrosanta, visto quanto sono importanti gli avvocati in certi casi. Naturalmente se non hai soldi lo devi dimostrare, con il redditometro o altri strumenti. Se le tue entrate stanno sotto gli 11.500 euro annui, allora sì, l’avvocato te lo paga lo Stato. Ma esiste una condizione ben più meritevole di questa tutela che non i poveri. Quale? Ma l’essere donna, ça va sans dire. Per i pochi che ancora non lo sapessero, per legge la donna che fa denuncia per violenza, maltrattamenti e affini può accedere al patrocinio gratuito dello Stato, qualunque sia il suo reddito. Non era già abbastanza facile forse, oggi ancora di più con il “Codice rosso”, incastrare un uomo con false accuse. Serviva che lo Stato garantisse la gratuità della cosa per farle dilagare ancora di più. Il tutto, sempre e comunque, come se le donne vittime di violenza fossero davvero tante quanto ci viene raccontato. E tutti sappiamo che così non è.
Viva la vulva – Chiudiamo il minestrone in bellezza, con un messaggio promozionale quanto mai sentito. Imperdibile, dal 7 al 9 dicembre, a Perugia, la manifestazione “Evulvissima 2018”. Attenzione, non è il festival della vulva ma, letteralmente “la” festival della vulva. Tutto andrà al femminile e al femminista, tutto andrà in rosa e tutto sarà dedicato a quella cosa maledetta e meravigliosa che le signore conservano tra le cosce. Non perdete il workshop sull’eiaculazione finalizzato a creare “un esercito di soldatesse squirtanti”, ma anche le tavole rotonde dedicate alle famiglie e ai bambini, che sa solo Domineddio cosa racconterà questo “gruppo informale di vulve deliranti”, come si presentano le organizzatrici. Invito davvero tutti a parteciparvi. Quanto meno per prendere spunto e iniziare a pensare per il prossimo anno una contro-manifestazione, da tenersi a Chiavari o a Pompei, magari intitolata “La mega minchia 2019”. Pensiamo in grande, cribbio. E poi non ditemi che non siamo al delirio…
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