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Uno dei tanti problemi che si incontrano quando ci si occupa di affermare una versione equilibrata della realtà, è la testa degli interlocutori, con ciò intendendo le persone qualunque, non chi è volutamente in malafede (politici, giornalisti, eccetera). Svuotata fin quasi dalla nascita di capacità ragionative attraverso strumenti come la TV o l’intrattenimento da quattro soldi, viene in genere poi riempita di concetti generici e semplicissimi, da usare come strumento per guardare e valutare tutto ciò che accade. Pillola rossa contro pillola blu, insomma, sempre lì siamo. E indubbiamente la tana del Bianconiglio la vogliono esplorare in pochi: quando li inviti a entrare, scappano rifugiandosi in quel poco, generalmente sbagliato, che sanno e che li tranquillizza.
La fonte primaria di questa loro ignoranza attiva sono i media, indubbiamente. Che hanno sempre lavorato a pieno regime in questo senso, ma ultimamente hanno davvero messo il turbo, complici anche personaggi politici estremamente mediatizzati. Ci sarebbe tanto da dire sulla polarizzazione delle opinioni e il degrado del confronto a mero insulto o dileggio che tutto ciò comporta, ma qui mi voglio concentrare su un altro elemento: l’incantesimo. Bisogna essere bravi per farlo. Bravi e sporchi dentro come la peggiore fogna di Calcutta. Servono questi requisiti per riuscire a dare dei fatti una versione totalmente diversa dalla realtà e farla entrare nelle zucche vuote della gente. Bisogna, per riuscirci, saper manipolare le emozioni di chi legge o ascolta. Passare dalla pancia prima di arrivare alla scatola cranica. Una pratica che è ormai sistema se e quando si parla di questioni femminili e/o di immigrazione (guarda caso i due grandi business sporchi del nostro paese). Se poi le due cose si coniugano… tombola! Ed è di questo che voglio parlare oggi.
A partire da questo capolavoro di manipolazione giornalistica apparso su Repubblica. Giornale, com’è ben noto, schierato tendenzialmente a sinistra, prono al femminocentrismo imperante e filo-immigrazionista. L’autrice, Alessandra Ziniti (donna, ça va sans dire), ci racconta la triste storia di Oumoh, bimba di quattro anni proveniente dalla Costa d’Avorio. La mamma, Zanabou, trentenne, l’aveva portata in Nord Africa per condurla in Italia, verso una nuova vita. Lì l’aveva lasciata a un’altra donna, dicendo di dover tornare in patria a prendere dell’altro denaro. La bimba così è sbarcata sulle nostre coste da sola e la sua storia “ha commosso il web”, come si dice. Tanto che l’Italia si è mossa per ritrovare Zanabou, concedendo permessi speciali e quant’altro. Finalmente, il tutto sotto tanti riflettori e flash, le due, fine marzo scorso, si sono ricongiunte a Palermo. Una bella favola ma senza lieto fine, ahimé. Notizia di fine giugno: Zanabou è di nuovo sparita e il tribunale dei minori ha dichiarato Oumoh adottabile.
Asciugate la lacrimuccia che, già per come l’ho raccontata io, starà scendendo dai vostri occhi. E’ sicuramente una storia terribile e commovente, una tra le tantissime che si possono trovare nell’ambito del fenomeno migratorio in corso da anni. Ora, se volete davvero appassionarvi alla storia, quasi fosse una riedizione 2.0 di Edmondo De Amicis, per favore leggete tutto l’articolo di Repubblica. Piangerete di commozione e di rabbia e alla fine e cercherete subito un contatto per adottare la piccola Oumoh. Se poi guarderete il video che Repubblica allega all’articolo, ancora di più. Che meraviglia l’umanità di quegli operatori, siamo veramente un paese speciale, con un cuore grande così e poi…
Hm, aspetta un attimo però… tutto quel romanticume nella narrazione non è un po’ sospetto? Dove stanno i fatti? Stanno là sotto, nascosti sotto strati e strati di emozionalità e suggestione che è cortina fumogena. Voi DOVETE commuovervi, Voi DOVETE provare empatia. Voi NON DOVETE conoscere i fatti, e soprattutto NON DOVETE capire. Ma capire cosa? Provo a trattare la notizia a modo mio, senza fronzoli e per come palesemente è. Vediamo se non appare in tutt’altra luce.
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Zanabou, la madre, ha abbandonato la figlia una prima volta, affidandola a un’altra donna. Si trattava di una zavorra ingombrante per lei, bella e giovane centrafricana, con chissà quali grilli e ambizioni per la testa, e con molte prospettive davanti, una volta fuori dal suo paese.
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Per sfortuna della madre, sulla piccola Oumoh si sono concentrati i media nazionali (che sfiga!). Serviva una notizia emozionale, così hanno pizzicato Zanabou chissà dove e l’hanno portata a forza a ricongiungersi con la figlia, il tutto a reti unificate.
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Nel video Zanabou appare tutt’altro che contenta di ritrovarsi la zavorra di nuovo appresso. La piccola Oumoh non ne parliamo: non piange, non parla, non ride, non si muove, più che felice sembra paralizzata dal terrore. Sa solo il cielo cosa le ha fatto passare quella madre.
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La versione è del tutto costruita, e il suo perno è il passe-par-tout della minaccia dell’infibulazione. Pratica notoriamente voluta dalle donne, del tutto accettata e normale là dove viene praticata e considerata disumana solo con il nostro metro occidentale (o per strumentalizzazione mediatica). Oddio, lo so che state inorridendo per quello che ho scritto. Orrore orrore, che dice Stasi? Io non dico niente, riporto solo studi antropologici leggibili ovviamente solo se si sa l’inglese, e che da noi non vengono né tradotti né diffusi. Un deficit dovuto al fatto che l’infibulazione è parte della narrazione femminocentrica con cui le donne occidentali amano dipingersi come paladine di qualcosa, per riempire un’esistenza sennò vuota. Guardando il tutto da un’ottica non superficiale, si rendono solo ridicole, come al solito. Dunque prima di indignarvi per ciò che ho scritto consiglio di studiare l’inglese, e poi leggere almeno: questo articolo di antropologia, questo articolo medico-scientifico, e se proprio volete guardare bene la tana del Bianconiglio, leggetevi anche questo articolo sulle mutilazioni genitali maschili, ben più diffuse e orribili dell’infibulazione (ma trattandosi di peni o testicoli, roba da maschi, nessuno se le fila…). In conclusione: probabilmente l’infibulazione non c’entra nulla. La fuga dalla Costa d’Avorio ha di certo ben altre ragioni legate al desiderio di una madre degenere di farsi la propria vita liberandosi della figlia.
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La versione ha una seconda costruzione, dal lato mediatico, asservita a necessità comunicative (cioè di indottrinamento) puramente italiane. Tutti i protagonisti della vicenda sono donne. Dall’articolista alla poliziotta, dalla psicologa, alle assistenti che fanno carezze a più non posso, tutte ansiosamente a favore di telecamera. E’ una storia di donne per donne che vogliono poter trovare un significato per sé o un alibi al loro benessere dicendosi “umane” e “progressiste”. Il tutto però è costruito su una donna-madre che non vuole affatto essere né umana, né progressista e tanto meno madre. Stavolta si è scommesso sul cavallo sbagliato: Zanabou vuole farsi i fatti propri ed essere lasciata in pace, senza zavorre, cercando il modo di farsi la sua vita in Europa.
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Alla fine, infatti, Zanabou si ribella al ricongiungimento a cui l’hanno forzata i media e le istituzioni “femmine” italiane. Lascia passare due mesi, affinché la notizia si sgonfi, dopo di che abbandona per la seconda volta la figlia. E tanti saluti al romanticismo d’accatto.
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La prossima volta che sentiremo parlare di questa vicenda sarà (scommettiamo?) quando Oumoh sarà adottata. Cosa che avverrà a brevissimo. Serve un happy end a questo tipo di narrazione. Chi l’ha organizzata è rimasto con le pive nel sacco per la ribellione di uno dei protagonisti. A breve la piccola dunque troverà una famiglia, e questo è un vero sollievo. Ma sarà seguita a vista e tormentata dai media per un bel po’, i riflettori non le daranno pace, e molto probabilmente i nuovi genitori saranno una coppia di sinistra con lei già pronta a ricevere flash, domande dai giornalisti e a presenziare a qualche talk-show, mentre l’uomo, il neo-padre, resterà umilmente nell’ombra. Questo vogliono i media, specialmente Repubblica e i suoi inserzionisti, che su questa favola fasulla hanno innescato un bel flusso emozionale (ovvero tanti click…). E intanto sui social un esercito di pecore replica a pappagallo “restiamo umani”, condividendo e mettendo like.
Ecco, questi sono i fatti raccontati per come effettivamente sono, senza furberie o strumentalizzazioni. Questo chi legge dovrebbe sapere. Per capire che le madri non sono tutte buone, anzi. Che l’immigrazione non è fatta di soli profughi, anzi. E che attorno a queste vicende gira una gigantesca organizzazione che trae profitti da diverse fonti. Ma soprattutto che queste falsificazioni sono automatiche e strutturali ormai se si parla di immigrazione e di diritti delle donne, che in questo caso abbiamo trovato addirittura coniugati.
Brutale e cinica la tana del Bianconiglio, eh? Tranquilli, dopo questo tour potete tornare a rimpinzarvi di emozioni, suggestioni, illusioni e ologrammi, e a pronunciare slogan pret-à-porter, gonfiando di essi i social network che usate solitamente. I suggeritori e gli incantatori abilissimi non mancano. Ma soprattutto non manca la voglia di tanti, troppi, di farsi incantare.
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