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Siamo a Chieti. Un ragazzo di 24 anni, studente universitario, finisce prima ai domiciliari poi in carcere, dove resta per cinque mesi, a causa di due accuse di stupro e lesioni divenute vere e proprie denunce da due diverse ragazze, sue colleghe di studio. I resoconti non tornano, il giovane ha un avvocato attivo e astuto che indaga, come la legge ora consente ai legali di fare. L’esito è tanto scontato quanto paradigmatico e sistematico: accuse false. Le due si erano semplicemente fatte un giro consenziente con il giovane, ma avevano la necessità di ripulirsi la coscienza di fronte ai loro fidanzati ufficiali.
Nessun tentennamento dunque ad accusare falsamente un ragazzo e a farlo finire in gabbia. Ma anche nessun tentennamento da parte della magistratura, una volta venuta fuori la verità, a non incriminare automaticamente le due furbacchione per calunnia. E con buona probabilità nemmeno il ragazzo lo farà, per il quieto vivere, per chiudere la questione. Con ciò sbagliando di grosso: dovrebbe essere suo dovere civico denunciarle, se fosse consapevole di quanto casi come il suo siano dilaganti nel nostro paese e di quanto quindi serva farsi promotori di azioni correttive severissime. Ma si tratta di una percezione che manca drammaticamente. Notizie come quella di Chieti restano sottotraccia, mentre la violenza sulle donne, sebbene minimale in Italia, viene trasmessa come emergenza assoluta, sui media e sui muri delle città.
Nessun tentennamento dunque ad accusare falsamente un ragazzo e a farlo finire in gabbia.
Ed è così che la psicosi di massa nasce spontanea fino a creare una realtà distopica, per lo meno per come viene raccontata. Si legga ad esempio questo articolo semplicemente vergognoso su un fatto di cronaca avvenuto a Roma. Una donna si dice infastidita dal comportamento del proprio compagno, ne parla con l’ex marito che lo va a cercare, lo riempie di botte e (pare) gli spara addosso dopo un inseguimento sul Grande Raccordo Anulare. L’articolista non ha dubbi: la donna era vittima di stalking e per questo il protagonista della vicenda non viene mai nominato come “l’uomo”, “l’individuo”, “la persona”, ma solo e semplicemente come “lo stalker”. Il giornalista (si fa per dire) Marco De Risi non ha dubbi, ha già fatto indagini processo ed emesso la sentenza. Senza spiegare come un compagno o fidanzato possa essere un persecutore: i due termini non si conciliano dal lato logico, lo stalker è sempre qualcuno che non ha o non ha più rapporti con la vittima. Ma va tutto bene se si tratta di falsare la realtà.
Una mistificazione che qualche giorno fa ha portato un giovane a essere quasi linciato a Torino per una falsa accusa e adesso si è rischiata un’ulteriore “missione punitiva” a Roma contro una persona che, stando a quanto raccontato, non è mai stata denunciata, né indagata, né condannata. Sono la mancanza di visibilità di articoli come quello sulle false accuse e la diffusione di articoli come questo sul fatto di Roma ad affermare nella percezione del pubblico una realtà totalmente distopica, qualcosa che di fatto non c’è, ma che molti credono di vedere, venendo con ciò spinti ad azioni abnormi. Se un obiettivo deve avere un’organizzazione unitaria e nazionale che si erga a difesa non più solo degli uomini ormai, ma proprio della verità e della realtà, sarà di presentare esposti per calunnia in casi come quello di Chieti ed esposti all’Ordine dei Giornalisti per articoli come quello sulla vicenda di Roma. E’ indispensabile, per la difesa di tutti e non solo degli uomini, che si ricominci a raccontare la realtà per quella che è. Già solo così sarebbe una rivoluzione.
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