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Non voglio prendermela troppo con Giulia Sarti. Ha passato e passerà l’anima dei guai. Di fatto la sua carriera politica finisce qua, dunque non è il caso di infierire. Ebbi modo di conoscerla un bel po’ di anni fa, nell’epoca lontana della leadership di Giovanni Favia. Una ragazza carina, simpatica, sensuale, intelligente e con un’ambizione divorante, che è riuscita a sfamare fino ad oggi grazie al Movimento 5 Stelle, andando anche oltre alle aspettative. Dunque non voglio incentrare la mia attenzione su di lei, se non nella misura in cui appartiene al genere femminile, da un lato, e dall’altro è stata (e lo rimarrà fino a fine legislatura) una rappresentante del popolo italiano investita, almeno fino alle sue recenti dimissioni, di un ruolo istituzionale chiave come la Presidenza della Commissione Giustizia.
La vicenda è nota: il programma “Le Iene” scopre grazie a una soffiata che molti parlamentari del M5S non attuano i rimborsi previsti sui loro stipendi, uno dei capisaldi del Movimento stesso. Le tecniche per ingannare il sistema sono molte, la più diffusa è quella di ordinare il bonifico, ottenere l’attestazione dalla banca, caricarla sulla piattaforma del Movimento e subito dopo annullare il bonifico. Al quartier generale della Casaleggio risulterà che il parlamentare ha versato la sua quota e solo dopo un po’ non troverà corrispondenza negli incassi. Un controllo che probabilmente avviene lontano nel tempo, quanto basta al parlamentare per tirare avanti sperando di non essere beccato. In ogni caso può sempre presentare la ricevuta e attribuire la colpa a un malfunzionamento del sistema.
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Nella rete de Le Iene cadono in moltissimi. Tra questi una delle attiviste della prima ora, appunto Giulia Sarti. Essendo una delle esponenti più in vista del Movimento, viene presa particolarmente di mira. Si giustifica, assicura di aver fatto i bonifici di rimborso con lunghi e accorati messaggi sui social. Messa alle strette, accusa il fidanzato Bogdan Andrea Tibusche (informatico e noto YouTuber), di averle rubato le password e conseguentemente essersi intascato i soldi, e per questo lo denuncia penalmente. Da quel momento tutto resta in sospeso, l’unica cosa che cambia è che i due intanto si lasciano. A queste condizioni probabilmente Tibusche non è più disponibile a fare da parafulmine: messo sotto indagine, si presenta dai magistrati discolpandosi. Come prove a discarico porta valanghe di messaggi e email che si era scambiato sulla questione proprio con Giulia. Uno scambio in chat pare che sia: “Tesò, mi hanno chiesto se denuncio te”. “Denunciare me?”. “Me lo ha chiesto Ilaria con Rocco, per salvarmi la faccia”.
Il Rocco in questione è Casalino, consigliere del Presidente del Consiglio, che di fronte alla bufera ovviamente si chiama fuori, attribuendo alla sola Sarti la responsabilità di aver ideato quel tipo di via d’uscita. A questo punto le cose si ingarbugliano: forse per intorbidire le acque Sarti tira fuori anche l’accusa all’ex di aver diffuso sue foto hard. Cerca forse così di scamparla appellandosi al mito della violenza sulle donne. Colpo fallito: quelle foto, peraltro tutte molto interessanti (onore al merito), girano da anni. Anzi Tibusche ha collaborato con la Polizia Postale per cercare di eliminarle dalla rete. Pochi giorni fa Sarti riceve la notifica dell’archiviazione della sua denuncia contro l’ex: infondata, falsa, strumentale. La denunciante sapeva benissimo di accusare un innocente. Ci sono quindi gli estremi di una denuncia per calunnia. Non è ancora certo se Tibusche procederà in questo senso, quello che è certo è che non vede l’ora di deporre in tribunale e pare, lui sì, fermamente intenzionato a infierire. Di fatto Sarti è costretta a dimettersi da Presidente della Commissione Giustizia e ora il suo ruolo nel Movimento è fortemente in bilico.
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In sostanza si ha dunque che una donna, una rappresentante degli italiani posta a presiedere una commissione che si occupa nientemeno di giustizia, prova a cavarsi d’impaccio accusando falsamente un uomo. Tutto questo non è soltanto un archetipo di quanto accade ogni giorno nelle procure e nei tribunali italiani da parte di donne non famose e potenti come Sarti a carico di uomini comuni, ma rischia di dimostrare che quello delle false accuse è un modello di comportamento talmente incarnato, così strettamente connesso al DNA femminile, da essere diventato attraverso Sarti uno strumento istituzionale di gestione dei problemi. Tibusche, da buon informatico, ha tenuto da parte ogni comunicazione ed è riuscito a uscirne indenne, ma quanti uomini meno astuti e meno competenti di lui finiscono in un mare di guai? Tanti, i numeri parlano chiaro: più di 55 mila denunce all’anno per violenze assortite teoricamente fatte da uomini contro le donne, che si concludono però con circa 5.000 condanne all’anno. Il resto viene archiviato o assolto.
Con la sua denuncia falsa, Sarti ha fatto atterrare l’ennesima pratica sul tavolo di giudici già oberati di lavoro e privi di risorse. La Polizia Giudiziaria ha cercato, indagato, interrogato per trovare riscontri. Soldi pubblici sono stati spesi per seguire una pratica priva di fondamento. Chissà quante altre pratiche c’erano dopo quella di Sarti, magari vere e più urgenti, ma che sono state affrontate con un inutile ritardo. Niente male per la Presidente della Commissione Giustizia. Ebbene, si moltiplichi questa situazione per 50 mila e si avrà il numero di donne che per “salvarsi la faccia”, come Sarti, inventano stupri o stalking mai avvenuti, o che per far l’asso pigliatutto in fase di separazione denunciano l’ex per abuso su minori o violenza domestica. Possono farlo e lo fanno. Nulla glielo impedisce e chi prova a impedirglielo rischia la pelle. Anzi: tutto le incentiva a farlo, dai centri antiviolenza alla gretta retorica del femminismo radicale che dilaga sui media. Come ulteriore incentivo ora potranno dire che se ci ha provato una parlamentare con un ruolo istituzionale, possono tranquillamente farlo pure loro.
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