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di Davide Stasi. Con la dodicesima puntata pubblicata ieri, è terminata l’esperienza estiva del podcast “Il racconto maschile”. Inaugurato il 20 giugno scorso e cadenzato per ogni domenica, il podcast ha cercato di percorrere la via dichiarata fin dall’inizio: far sì che gli uomini si riappropriassero del racconto di se stessi. Da troppo tempo la descrizione dell’identità maschile è stata lasciata in mano a chi, per propria costituzione, odia gli uomini, tanto da volerli distruggere, ovvero il femminismo e le sue propaggini nei media, nella cultura e nella politica. Tutti uniti su un punto ben definito: gli uomini sono colpevoli. Colpevoli di una colpa atavica, che genera per l’intero femminile un credito sostanzialmente inestinguibile. Che aumenta di giorno in giorno perché l’oppressione maschile storica ancora si perpetua oggi, manifestandosi spesso con una violenza insita nel DNA degli uomini.
La mistificazione insita in questa versione dei fatti è tale (e talmente diffusa) che richiedeva un tentativo di intervento da parte di chi a tutti gli effetti è titolato a raccontare gli uomini, ossia gli uomini stessi. Ma, e questa è stata la grande sfida del “Racconto maschile”, tutto avrebbe avuto senso soltanto staccandosi dagli attacchi e dalle demonizzazioni provenienti dall’esterno, prescindendo dal femminile ovunque possibile e con ogni sforzo. Era necessario raccontare l’uomo sviluppando una narrazione che lo identificasse in sé e per sé, non in confronto o in contrapposizione con la sfera femminile, e tanto meno con quella realmente nemica, cioè la sfera femminista. Non è stato per niente facile passare dalla pars destruens, tipica delle pagine quotidiane di questo blog, alla pars construens. È stato difficile perché ha comportato uno sforzo di distacco dai cliché avvitati a forza nella mente di tutti noi, e perché ogni cambio di registro, specie se così radicale, richiede impegno. Non è stato facile insomma passare dall’urlare contro il nemico al cantare noi stessi.
Il futuro è là che attende di essere scritto.
Ho fatto ogni sforzo per riuscirci e credo di aver ottenuto un buon risultato, testimoniato dai dati degli ascolti decisamente oltre ogni aspettativa, per altro anche nella sua versione in lingua inglese. Non è stato sempre possibile, ovviamente, prescindere dalla polarità femminile o femminista, ma esse sono state utilizate, quelle rare volte, soltanto con lo scopo di mettere in luce le componenti più peculiari della maschilità. Soprattutto quelle positive, belle, importanti. Che ci sono e sono innumerevoli. Esse attraversano tutti e dodici i podcast, in un percorso che tocca temi come la sofferenza e la forza maschile, la sua dinamicità e la sua creatività innate, la sublimazione del suo ruolo quando diventa padre, la sua capacità di perseguire lo scopo (specie se interiore) anche in assenza di risorse, il suo attaccamento a quella cosa antica e dimenticata che è l’onore, per arrivare infine alla sua sessualità, al suo erotismo e, cosa più importante, alla sua peculiare autonomia. Un’autonomia messa sempre più in discussione dalla femminilizzazione del maschile, ma che va riaffermata in un’ottica che credo e spero traspaia in modo chiaro e netto da tutte le parole che ho pronunciato: l’uomo e la donna possono tranquillamente realizzarsi da soli. Ma se camminano insieme, conoscendosi e riconoscendosi vicendevolmente, ottengono risultati migliori, più grandi, più alti. Dei due generi, quello che al momento è rimasto indietro è quello femminile, ancora incapace di raccontare se stesso con apertura e profondità, impacciato com’è nella prigione ideologica del femminismo. Ma non si deve disperare. La natura è più forte di tutto e presto o tardi il suo richiamo si unirà al nostro. Sarà allora che le donne si scrolleranno di dosso il femminismo, svilupperanno un proprio racconto, capace di armonizzarsi col nostro. Ed è proprio con un invito in questo senso che si chiude la serie di podcast “Il racconto maschile”.
Non posso scrivere le riflessioni di chiusura di questa seconda esperienza multimediale, dopo la serie di trasmissioni in diretta web di “Radio Londra“, senza menzionare apertamente le fonti e le persone che hanno collaborato alla realizzazione di questo percorso faticosissimo ed emozionante. Anzitutto le musiche di sottofondo, alcune note altre meno. Buona parte di esse sono state prese dall’ampia e notevole banca dati di Jamendo (se qualcuno fosse interessato a conoscere titolo e autore di un brano, scriva una mail di richiesta tramite il blog), in alcuni casi mi sono affidato a noti pezzi di musica classica, in altri a brani realizzati direttamente da me. I podcast poi sono gonfi di citazioni, dirette e indirette, alcune esplicite altre meno, ma tutte riferite a quelli che sono capisaldi della cultura e della civiltà occidentale e italiana in particolare. Un aiuto fondamentale per mettere insieme tutto questo mi è venuto da tre grandi uomini, tre “grandi anime”: Rino Della Vecchia, Armando Ermini e Fabio Nestola. Nello scrivere i testi dei podcast ho praticamente saccheggiato le loro pubblicazioni e i loro suggerimenti, elaborati in fulminee tempeste di cervelli via messaggio o email. Sono onorato di avere in qualche modo fatto da cinghia di trasmissione tra le elaborazioni di massimi esponenti della “questione maschile” storica e metodi di comunicazione più moderni e forse accattivanti di testi profondi e impegnativi. Ciò che resta è che sono stato soltanto il “divulgatore” di pensieri profondi come l’oceano elaborati da persone di una grandezza intellettuale ed etica smisurata. Questo soprattutto fa de “Il racconto maschile” un’onoreficienza che inquadro e appendo sul muro della mia modesta biografia. Oltre a ciò, c’è l’auspicio di aver messo a disposizione, per l’oggi e per l’avvenire, una mappa affidabile e sincera della maschilità, che possa funzionare da punto di partenza per una nuova e orgogliosa presa di coscienza identitaria del mondo maschile. Cui si spera ne segua una anche da parte femminile. Perché il futuro è là che attende di essere scritto. E gli autori non possono che essere gli uomini e le donne assieme.
Penso anche io che l’idea di un neolitico europeo matriarcale proposta da Bachofen sia figlia del tempo in cui ha scritto quell’opera; non una suggestione femminista, ma più in generale l’interesse verso le scoperte archeologiche mischiato a suggestioni letterarie.
Se degli spostamenti dei Kurgans vi è traccia, tutto il resto (la cultura dei Kurgans, di stampo “patriarcale” che soppianta quella matriarcale delle popolazioni mittle-europee ed euro-mediterranee) mi sembra alquanto improbabile da dimostrare.
E tra l’altro è evidente che in quel periodo scrivevano tutti cose simili, mischiando egittologia, preistoria, fantastico (Howard, Lovecraft, ma vedi anche i testi delle opere di Mozart).
Tra nominalismo, protestantesimo, rivoluzione industriale e liberismo c’è sicuramente un flusso e quindi dei nessi che è impossibile negare.
Il fatto che vi siano comunità o dottrine religiose figlie del protestantesimo che vivano secondo una morale e dei costumi di stampo tradizionalista, non contraddice questa osservazione.
ti ringrazio per il paragone con Rino ed Armando, ma è ingiusto.
Ingiusto per loro.
Per quanto riguarda la QM mi autocolloco diverse tacche sotto i loro monumentali lavori; io mi occupo di diversi argomenti, probabilmente senza riuscire a trattarne nessuno alla perfezione: femminicidio o presunto tale, condizionamento delle coscienze, asimmetria valutativa nel civile e nel penale, indottrinamento al servilismo del gregge mediatico, strumentalizzazione dell’interesse del minore, ostracismo della politica mascherato da indifferenza, diritti del minore ed altre robe del genere.
Ogni tanto provo a coniare dei termini – maleshaming e DDN (diritto discriminatorio nazionale) – per definire, o provare a farlo, alcuni fenomeni dilaganti osservati nella casisitica che raccolgo e nell’analisi che ne faccio.
Ecco, questa credo sia la differenza maggiore tra me ed i grandi pensatori: io devo essere documentato.
Raccolgo in archivio quintali di carta e di giga sui temi dei quali mi occupo; trattando argomenti clamorosamente impopolari devo essere sempre in grado di dimostrare ciò che dico e costruire fondamenta solide per ciò che penso.
E che spero di far pensare.
Un filosofo non ha bisogno di farlo, crea pensiero e basta.
Sono arrivato alla QM per aver studiato, da circa 27 anni, la discriminazione misandrica nei campi giuridici di separazione, divorzio, cessazione di convivenza, affido della prole, sottrazione internazionale, filiazione. E’ stato uno sbocco naturale, un imbuto nel quale confluivano dati, sentenze, iter legislativi e manovre ostili per ostacolarli, casistica, riflessioni; tutto convergeva nella QM ma è stata l’approdo, devo ammettere di non essere partito da li.
Continuo a lavorare prevalentemente sul campo delle separazioni e dei diritti negati, prima dei minori e di riflesso anche degli adulti coinvolti.
Con una attenzione particolare ad un aspetto: la tutela dell’infanzia deve diventare un caposaldo maschile, non può e non deve essere lasciato monopolio del femminile sulla scia di luoghi comuni consolidati da decenni.
Non me ne sono perso uno, di questi podcast: analisi così profonde e autentiche che dovrebbero essere proposte nelle scuole e in altri àmbiti formativi (corsi di specializzazione per tutte le professioni psico-socio-forensi-assistenziali e dell’informazione).
Mi permetto solo una piccola chiosa; l’usurpazione della titolarità a raccontare il Maschile non è un’esclusiva del femminismo, ma ha una componente più antica: il Matriarcato.
Cultura antichissima (in ambito mediterraneo, mentre nel Pantheon delle divinità nordiche prevaleva il Maschile), che origina dalle divinità pagane medio-orientali della fertilità della terra, poi trasposte nel Cristianesimo.
Sulle successive tappe cruciali, molto possono raccontare gli studi “maschio-selvatici” (Armando Ermini) su Bachofen, Neumann, ecc.; una tappa cruciale nello “spodestamento” del Padre è stata la Riforma Protestante; un’altra è stata il passaggio dall’economia della bottega artigiana (apprendistato maschile) a quella dell’industria (padri auto-esiliati, dai borghi ai centri industriali, alle catene di montaggio; svuotamento del sapere paterno e figli rimasti a crescere con le madri).
La cultura matriarcale è ormai ìnsita nella prima formazione maschile: è il Materno quello legittimato alla formazione maschile, con le sue agenzie delegate; dalla madre si passa alla maestra.
Il femminino si “imprinta” nella psiche maschile quale Musa ispiratrice, proiezione materna, con monopolio sulla prole; il Romanticismo ottocentesco suggella e celebra la diade madre-figlio e informa di sé il secolo successivo (Fascismo compreso), ed oggi perdura immutato.
https://www.ilcovile.it/scritti/COVILE_907_Grande_Madre.pdf .
ma cosa stai dicendo? i matriarcati non sono mai esistiti. Come non esistono “amazzoni” o “soldatesse jane” se non nei film fantasy e d’azione. Certo, nei film e nei libri fantasy e d’azione ci possiamo sbizzarrire con la fantasia, ma non se parliamo di realtà o di Storia.
Al massimo, puoi citare cose tipo “i moso”, che non sono i matriarcati che descrivi, bensì culture dove l’uomo si trasferisce momentaneamente nella dimora della moglie (matrilinearità, infatti, più che non matriarcato). Anche in culture come queste, la donna è sottomessa all’autorità del fratello o dello zio.
Il cristianesimo che divinità femminile ha proposto? Dio è Padre (non “Madre”), Gesù è il Figlio (Uomo).
La vergine Maria non è una divinità bensì un’umile e giovane ragazza ebrea comune (non divina o semidivina) che (per chi crede) è stata messa incinta da Dio, e non certamente Dio lei stessa, tanto più che le stesse femministe fanno notare come le religioni siano patriarcali, appunto.
La Riforma Protestante non so cosa c’entri e perché la citi e soprattutto cosa diamine c’entri con femminismo o diritti maschili (nella Riforma si contrastava l’autorità dottrinale e temporale del Papa e certe riscritture o negazioni della Bibbia che fecero i cattolici, non a caso i Protestanti dicevano il motto “Sola Scrittura”, rifiutando le visioni fantasiose di certi teologi cattolici per dogmi cattolici inesistenti nella Bibbia, come l’eterna verginità di Maria, inesistente nella Bibbia e ideata da padri della chiesa sessuofobi, appunto, insieme all’altro grande scandalo dell’infallibilità papale, che erano i dogmi cattolici che protestanti e calvinisti rifiutavano, basandosi anche sulla dottrina delle predestinazione, negata dai cattolici. Che i protestanti e calvinisti abbiano negato il padre è qualcosa che credi tu, del tutto incomprensibile… aspetto delucidazioni, se mai ci saranno, anche considerato che se c’è un qualcuno che “fa tanti figli” e negano il divorzio, sono proprio i cristiani non cattolici: evangelici, mormoni, battisti ecc. vi dicono niente?)
Non spacciamo “visioni fantasy” per “Storia”, per favore. Restiamo seri, bastano già altri siti di attivismo maschile dove si parla di Ufo e di Illuminati che avrebbero ordito il complotto femminista o di Covid creato da scienziate cinesi misandriche, per farci apparire complottisti al pari di chi crede al malocchio e alla magia nera. Restiamo seri, per cortesia.
Consiglio vivamente la lettura, anzi lo studio, de “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo” di Max Weber. Non un complottista qualunque, ma uno dei padri, anzi forse IL padre, della sociologia moderna.
Lo consiglio perché condivido la tua riflessione, che immagino fosse anche un modo per redarguire te stesso: “non spacciamo visioni fantasy per Storia”.
Il Matriarcato come “assetto di governo della comunità” non è storicamente esistito: gli studi antropologici della Magli hanno chiarito che Bachofen era giunto a conclusioni fuorvianti: aveva scambiato per “forma del potere” quella che, in alcuno contesti storici, era stata una semplice successione matrilineare.
E’ indubbiamente esistito il Matriarcato come Mito (Neumann).
Sorvolo sul discorso lungo e complesso della devozione mariana e di quanto essa sia tributaria di antichi culti pagani.
Lenzen ha chiarito la svolta pedagogica operata dalla dottrina di Lutero: le ragazze frequentano la scuola per almeno un’ora al giorno; la responsabilità dell’educazione si trasferisce in parte dal padre alla madre; femminilizzazione delle competenze educative; la dottrina esce dalle case dei pastori e diviene il normale modello educativo; “la Riforma segna dunque irrevocabilmente la fine di un’epoca per ciò che riguarda la concezione della paternità, sia sul piano teorico che su quello pratico; poche generazioni dopo, nessuno sapeva più che cosa avesse significato un tempo ‘paternità'”.
Il punto focale, oggi, non è tanto il Matriarcato “Potere/Mito/Culto”, quanto la stratificazione psichica, la proiezione del Materno sul Femminino, l’autorità pedagogica (dalla madre alla maestra); il potere occulto (musa ispiratrice) esercitato, fra le mura domestiche, dalla polarità femminile (dalla madre alla maestra alla moglie); la rottura della catena patrlineare del sapere; l’eclisse del Padre e la delega incondizionata sui figli.
“La mano che dondola la culla è la mano che governa il mondo”.