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Ci risiamo. La premiata ditta Sole24Ore – Cristina Da Rold colpisce ancora. Dopo la bella figura rimediata qualche tempo fa, la prode giovane pubblicista ci riprova, producendo un articolo infinito, illeggibile, inzeppato di statistiche incrociate, il tutto per dire un concetto. Uno solo, messo alla fine, in neretto, nel caso non fosse chiaro: bisogna che l’Italia diventi un “paese a misura di donna”. Su tutto aleggia l’ansia della giovane pubblicista di dare il suo contributo contro l’ipotesi di riforma di separazioni e affidi, cosa che emerge però solo dal titolo, sempre eccessivo e ammiccante. Dal punto di vista generale, palesemente Da Rold non ha mai dato un’occhiata a tutti i dati europei relativi all’Italia (ne parlerò diffusamente venerdì). Anzi, sicuramente li ha visti ma fa finta di niente. Quello che conta per lei è buttare nel calderone una serie di statistiche, dati, grafici che in un modo o nell’altro sostengano la propria tesi. Per chi ha voglia di sorbirsi il pastone, lo può vedere qui, in modo da seguire passo passo il mio inevitabile debunking.
Dunque, dice Da Rold: “No, le madri sole non se la passano bene. Sono doppiamente a rischio di povertà”. E per corroborare la tesi cita come prima cosa, udite udite… il gender pay gap! Sì sì, proprio lui. Quello che l’Economist ha recentemente archiviato in modo definitivo come bufala totale. Eppure torna su, come una peperonata mal digerita, inducendo la pubblicista a dire che il 12% delle donne che lavora è a rischio povertà: lavorano di meno e sono pagate poco, più tutto il lavoro di cura domestica. La colpa è del part-time involontario (quello che si accetta perché non ci sono altre alternative migliori), che queste donne sono costrette ad accettare nel 70% dei casi, contro il 30% degli uomini.
Nessun accenno, nemmeno per sbaglio, a una possibile spiegazione di questo fenomeno perché, questo è certo, nessuno costringe le donne a fare quei lavori: è il mercato del lavoro che è povero di offerte. Per tutti, uomini e donne. Eppure i maschietti riescono a sfilarsi dal part-time involontario. Come mai? Onestà intellettuale e giornalistica avrebbe dovuto indurre Da Rold a citare i dati europei e italiani sulla formazione e le (libere) scelte di carriera delle donne, nella stragrande maggioranza dei casi orientate verso professioni a remunerazione modesta. Chiaro che se scegli la facoltà di lettere sperando di fare l’insegnante, invece che la facoltà di ingegneria, è normale che poi ti si creino dei problemi. E quando non è una scelta legata all’istruzione, è una scelta legata al lavoro. Il muratore che fa straordinari in cantiere non fa part-time involontario, ma è un lavoro che una donna non farebbe mai, mentre di buon grado accetta di sedersi dietro una cassa per sei ore con uno stipendio ridotto. Un mix di scelte personali e condizioni del mercato, che però Da Rold, pur scrivendo per il Sole24Ore, mette giù quasi fosse colpa di un sistema che premedita l’oppressione femminile.
L’articolo poi vira sul vero centro della questione: le madri single che, sulla base di dati ISTAT (le solite stime, mere ipotesi, che Da Rold spaccia però come dati reali, ma a questo ormai siamo abituati), in maggioranza se la passerebbero malissimo. Nel raccontare questo si cita il DDL Pillon e l’ipotesi di virare verso il mantenimento diretto, togliendo alle ex mogli l’assegno per il mantenimento dei figli. Il piagnisteo ben si presta ai dati ipotetici portati come reali. E anche qui si dimentica di dire che, quando va di lusso, il contributo dell’ex coniuge arriva a 300/350 euro a figlio, che dovrebbero essere destinati a mantenere i figli appunto, non l’ex moglie (destinataria già di un altro assegno di mantenimento). Cifre che se danno sollievo alla donna separata con figli, però dall’altra parte impoveriscono il padre single, anch’egli alle prese con un mercato del lavoro tutt’altro che florido e solido, tanto che spesso non riesce a pagare il mantenimento. Ma tant’è l’approccio è quello: ci sono donne, dice Da Rold, che non riescono a pagare l’affitto. Poco importa che ci siano uomini che dormono in macchina o dai genitori e facciano coda alla Caritas, loro non contano nulla.
Anche in questo caso non si citano i recenti dati ISTAT (stavolta dati reali, non stime) che contano un numero spropositato di donne fino ai 35 anni classificate come inattive (diverso da disoccupate, ossia non studiano, non cercano lavoro, non hanno mai lavorato…), né di nuovo si fa riferimento alle pregresse scelte formative o professionali al ribasso di queste donne che, una volta separate, poi si trovano in difficoltà. Citare dati del genere non farebbe gioco al principio caro a Da Rold per cui l’Italia deve diventare un paese a misura di donna, prima di tutto evitando che venga approvato il DDL Pillon. Dicendola tutta bisognerebbe ammettere che in questo paese è ora che le donne capiscano che la competitività, l’autonomia, l’emancipazione sono valori che devono loro stesse perseguire con caparbietà, senza adagiarsi in lavoretti di profilo medio-basso, puntando poi a sposarsi bene. Un’ammissione che Da Rold non è per nulla disposta a fare.
A buon peso, poi, anche se non c’entrano nulla, ci mette le casalinghe. Di esse, dice, una su dieci è in povertà assoluta, mentre una su tre è pienamente soddisfatta della sua vita. Due grandezze (povertà economica e soddisfazione personale) non paragonabili, e discorso nel complesso insensato. Chi liberamente sceglie la cura della casa e della famiglia, opta per un’organizzazione di tipo cooperativo, dove uno contribuisce con il lavoro e l’altro con il “capitale” monetario. Entrambi, in cooperativa, hanno lo stesso valore che da entrambi viene ripartito. Anche in questo caso si tratta di scelte personali che, per altro, in un’alto numero di casi porta piena soddisfazione. Le cooperative familiari che funzionano così e sono felici sono tante, sono la maggioranza. Quell’una su dieci “in povertà” è da inquadrare: forse è così perché anche la parte monetaria della cooperativa non se la passa bene? Forse che il problema è sistemico e non legato al genere? Forse che la cooperativa non può essere trasformata in società di capitali, trovandosi anche lei un lavoro? Tutto vago, inspiegato e inspiegabile, ma tutto fa brodo per sostenere la tesi di base.
Che, senza tanto profluvio di statistiche ipotetiche, di argomenti non attinenti e di colpevoli omissioni, si sarebbe potuto ridurre in un paio di slogan su Twitter: “un paese a misura di donna” e “No al DDL Pillon”. La pubblicista Da Rold avrebbe fatto miglior figura, e così la testata che la ospita.
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