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Quello che sta accadendo in Irlanda è davvero paradigmatico. Tutto parte da un’accusa di stupro mossa da una diciassettenne di Cork contro un uomo di ventisette anni. Questi dichiara che il rapporto era consenziente e il suo avvocato (donna) fa notare in dibattimento che la ragazzina, la sera della presunta violenza, indossava un look particolarmente seducente, incluso un tanga di pizzo. La corte, formata da otto uomini e quattro donne, manda assolto il ragazzo all’unanimità, ancora non è chiaro se per il tanga di pizzo o se per altri motivi. Non si sa di preciso perché i giornali irlandesi parlano d’altro, evitando di dare dettagli sul dibattimento e sulle prove portate dalla ragazza. La loro attenzione è sulla citazione del tanga in dibattimento, poi sventolato per protesta in Parlamento da una deputata femminista. E non solo da lei: i movimenti in difesa delle donne hanno inscenato una protesta molto ampia, buttando i loro tanga sulle scale del tribunale e diffondendo un nuovo hashtag sui social: #ThisIsNotConsent (questo non è consenso). Va detto che, come sempre, sul piano comunicativo sono audaci, geniali ed efficaci. Riescono con queste carnevalate e con gli hashtag a tirarsi dietro un esercito di media compiacenti e a influenzare l’opinione pubblica. Il tutto spesso al di là del buon senso e dei principi dello Stato di Diritto. Pare evidente infatti che il Tribunale irlandese, se ha deciso di assolvere l’uomo, è stato perché le prove portate a suo carico non erano sufficienti. Difficilmente si è basata su un tanga, seppure quello possa aver legittimamente avuto il suo peso. Vero è che c’è chi indossa roba del genere anche per fare le pulizie di casa, ma in un incontro a due un indumento del genere può avere anche chiare finalità seduttive che in qualche modo preludano al consenso. Non bastano da sole a certificare l’innocenza dell’uomo, questo è certo, così come giustamente non basta la parola dell’accusatrice per mandare in carcere qualcuno. La legge è legge e ha i suoi principi per essere applicata. Se poi i giudici sono particolarmente prudenti non credo sia colpa loro o di una mentalità maschilista. In Irlanda come nel resto del mondo credo abbiano ben presente la diffusione del fenomeno delle accuse false o inventate, spesso legate a ripensamenti post-coito inizialmente consentito. Essendo il dubbio uno strumento logico di base per chi giudica, l’abuso eccessivo della furbizia mette in difficoltà le vere vittime. Dunque, nel dubbio, i giudici assolvono. Invece che spargere mutande in giro e diffondere hashtag le femministe farebbero bene a mobilitarsi affinché le loro seguaci smettano di fare la finta e inventarsi accuse strumentali. Solo così possono tutelare le vittime di violenza e anche degli stereotipi. Ed è per questo che non lo faranno mai: senza materia di cui lamentarsi e per cui protestare, come potrebbero mai continuare ad esistere?
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