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di G.A.
Sul ruolo dei media e del loro potere sulle masse di consumatori non si scriverà mai abbastanza. Si presentano come espressione di coscienza collettiva, dando per scontato che il modo di dare le notizie, la prospettiva mostrata nella loro presentazione direzionale, i giudizi espressi, siano esattamente quelli che ogni individuo vorrebbe esprimere, nel rapporto apparentemente personale con ognuno ma impersonale con tutti. Questo approcio, nella scena del consenso globale, rappresenta la potentissima funzione di orientamento dei pensieri di milioni di individui. Tanto da formare o abbattere il consenso su diverse forze di potere in concorrenza tra loro. E su questo poco può fare un sistema autodefinentesi democratico. Il bisogno di notizie, di storie riguardanti gli altri simili, è innato, trae spunto nella ricerca di consolazione a bisogni individuali. Che non vengono soddisfatti in modo democraticamente e culturalmente multirappresentativo. Tutt’altro.
Ma sarebbe doveroso e utile riflettere su come meccanismi che, agendo di continuo ed a un ritmo martellante sui milioni di consumatori di notizie, possano invece spingere essi stessi qualche singolo individuo ad aggredire chi lo terrorizza, salvo poi autoinfliggersi a sua volta la pena di morte se il terrore proviene non dalla sua vittima, ma da ciò che essa rappresentava. Confermandosi infatti come “il mostro”, il terrore di vivere le conseguenze del gesto spesso sopprime la belva. Ogni singolo caso di tragedia familiare viene manipolato e sviscerato in tutti i suoi aspetti sempre più grotteschi, nella raffigurazione di un mostro che, come una diabolica forma infernale invade ora un corpo maschile ora un altro, trasferendosi da uno all’altro solo per restare vitale nel colpire ancora la femmina madre-vittima. E i più lo credono.
Le donne sono sotto attacco! E’ questo il messaggio. Ho visto e ascoltato una casalinga in piazza nel napoletano gridare come una ossessa “Ci stanno ammazzando tutte, ci stanno uccidendo a tutte!”. L’eccitazione è al massimo. Il primo pensiero di ogni politico è rivolto ai femminicidi. L’odio popolare si scatena. Ma un omicida o femminicida che dir si voglia è tale solo dopo avere commesso il delitto. E chi poteva prevenire e non lo ha fatto è colpevole o no? Mentre un senso errato della giustizia ci sta portando a trattare tutti da potenziali colpevoli, con ottusi arresti preventivi, non ci spieghiamo i perché dei veri assassinii all’interno delle relazioni. Il quando il come e il perchè scatti l’aggressività umana.
Una delle idee più efficacemente propagandata nella storia della comunicazione di massa è quella di una umanità in lotta contro il mostro. Non è un caso che film ispirati a “Godzilla”, “King Kong”, o alle invasioni aliene, da sempre costituiscono la fonte principale di guadagno delle case di produzione cinematografiche, insieme alla idea abusata che esista sempre un impero del male o un super-criminale, magari alla guida di stati canaglia, che minaccia di distruggere il mondo. Orientando le energie difensive ed aggressive delle masse, viene salvaguardata e supportata la funzione del potere che le governa, padre protettivo piuttosto che oppressivo. Governi e movimenti elettorali più o meno popolari si avvalgono della manipolazione delle pulsioni collettive per orientarle al loro servizio, fino a quando vengono soppiantati da altri poteri che ne prendono il posto.
Mi sono trovato a chiedermi quindi se non si inquadri funzionalmente l’attuale grandioso sforzo mediatico contro l’aggressività maschile, e verso la manipolazione del sentimento collettivo di difesa della donna, da sempre rappresentata come essere debole e vittima, in una rappresentazione scenica sul consesso mondiale della lotta per il potere di una certa fazione contro altre. In un riuscitissimo tentativo di manipolare l’aggressività collettiva orientandola verso obiettivi limitativi che col potere costituito non hanno nulla a che vedere. Insistendo sui “femminicidi” la difesa di un genere contro un altro prende il primo posto nelle preoccupate cronache televisive e giornalistiche, soppiantando quelle che dovrebbero essere le denunce delle storture del sistema, quali l’oppressione dalla burocrazia ottusa, le disparità sociali abnormi, l’attacco ai diritti elementari delle famiglie e dei salariati, lo sfruttamento, la distruzione del tessuto sociale, la povertà, e persino la fame nel mondo.
Tutto cede il passo a cronache ossessive su violenze sessuali, maltrattamenti in famiglia, stalking, violenze su minori, utili nella loro funzione coalizzante come lo divennero la lotta alla mafia prima ed al terrorismo poi. L’emergenza femmincidi non esiste, i dati statistici sono interpretati ad arte, lo sanno anche i cani, ma le donne vivono nel sospetto del mostro che dorme accanto, pronte a correre verso un centro antiviolenza a caccia di clienti. Il tutto mentre l’andamento vero di tali crimini è in diminuizione da anni e nonostante si sia allargata nel frattempo la forbice della definizione di crimine. Nessuno avrebbe sognato di definire tale un ceffone, sino al dopoguerra. Oggi una critica alla partner compagna madre sconfina nel reato. E se volessimo far scendere davvero il numero dei reati, evitare almeno i più gravi, non potremmo che cercare di farlo studiando ciò che avviene oggi nelle separazioni.
Il diritto alla vita è sacro, indipendente dal tipo o genere della vittima. E chi lo sopprime sia punito; meriti la galera a vita, o la pena di morte, che sia però per tutti i responsabili di morte altrui, per piacere, non la decimazione che colpisce solo e sempre gli ex compagni/mariti/padri. Mai altri/altre, non meno colpevoli. Poi, prevenzione. E lì il discorso cambia, perché occorre scavare nei conflitti familiari. E pensare con calma, con il proprio cervello.
Non c’è dubbio, che il peggio di sé i genitori di questo millennio lo danno in fase di separazione. Forse sarebbe il caso di ripristinare la censura almeno sui commenti dati alle notizie non gravi riguardanti i conflitti genitoriali. Nell’interesse anche della giustizia. Ma perché i media, con qualche minuscola eccezione, anziché informare ed istruire, pescano nelle torbide emozioni popolari, spinte al linciaggio, al grido di “al rogo al rogo”. Di chi? Dell’uomo di turno nel quale l’essere satanico malefico ed immateriale si è provvisoriamente insediato. Per decretarne la fine umana, per poi trasferirsi sul prossimo vampiro, e tornare ad abbeverarsi del sangue di donna. Meglio se madre di minori anche loro in procinto di essere divorati. Lo squilibrio nel rimestare nel torbido ogni caso di “femminicidio”, eliminando dal sentimento popolare ogni possibilità di provocazione (se lei aveva dichiaratamente un amante, la colpa era del lui, al quale “si dice” non mancassero le amicizie femminili), ha il sapore di una beffa, che si aggiunge al danno umano reale.
Questa è l’operazione più sporca, ignobile e subculturale che i media economicamente nelle mani dell’abietta ignoranza del potere possano compiere. L’essere immondo è l’origine del male. L’indemoniato da bruciare. Nessuna introspezione psicologica nessun tentativo di spiegare le pulsioni che portano al delitto di un individuo contro l’altro, nessun aggancio al disfacimento del tessuto sociale più sano, quale era la famiglia, in corso. Nessuna ricerca su quanto certe pulsioni siano innate nell’individuo, dalla notte dei tempi, come l’aggressività spinta fino al bisogno di morte. Solo, si attinge dai media, l’esasperazione della guerra contro la creatura da disintegrare, del tutto incomprensibile; in realtà niente affatto tale ma prodotto di umanissimi istinti, fin troppo studiati e spiegati da chi di questi meccanismi psichici si intende e ne ha discusso, in passato ed oggi. Ma per i media esiste solo un’emergenza: la guerra santa e apocalittica contro il mostro. Quel mostro.
Una delle più nefaste conseguenze della banalizzazione culturale operata dai media è la negazione dell’aggressività umana come insita nel bagaglio genetico. In particolare l’aggressività viene a configurarsi come l’espressione tipica delle pulsioni dell’individuo di fronte alla frustrazione. L’aggressività e l’odio scaturiscono dal desiderio di allontanare e respingere ciò che è, in qualsiasi forma, occasione di dispiacere: un individuo odia, aborrisce, perseguita, con l’intenzione di mandarli in rovina, tutti gli oggetti che diventano per lui fonte di dolore, nel soddisfacimento dei suoi bisogni di autoconservazione. Si può addirittura asserire che gli autentici archetipi della relazione di odio traggano origine dalla lotta dell’Io per la propria conservazione e affermazione, un tentativo di adattamento ad una situazione improvvisa.
Questi meccanismi sono normali e al servizio dello sviluppo umano, così pure come possono sconfinare nella patologia. E non ne sono immuni né uomini ne donne coinvolti nella relazione di coppia. In questo senso, il meccanismo della paranoia, già identificato da Sigmund Freud (1910), può essere alla base di molti casi di comportamento aggressivo, con patogenesi ben studiate anche al di fuori della psicoanalisi (come nel caso della teoria del capro espiatorio, che può spiegare innumerevoli casi di violenza nella storia dell’umanità). Nessuno vuole negare il carcere a un omicida, ma se parliamo di giusta pena è una cosa, se volessimo prevenire i costi sociali e di vite distrutte dalle separazioni, è un’altra.
E la descrizione di come emerga l’aggressività umana fatta dai padri della psichiatria, non può non rammentare qualcosa di ricorrente. Specie dinnanzi a ciò che sembra l’attacco distruttivo che, con la complicità del sistema, viene condotto a una sempre maggiore parte di ex compagni/mariti/padri, quale punta di assalto per individuare e distruggere il mostro latente, l’inizio della fine di una vita. Aggressione come reazione ad un grave pericolo quindi. E quando la giustizia comincia a colpire a casaccio sempre dallo stesso lato, seguendo l’andazzo popolare (e in realtà la rappresentazione mediatica pilotata), con furia, e tale giustizia diviene ingiustizia, potremmo forse dire che l’anelito separativo e denunciante di una parte costituisce, grazie ad un potere giudiziario sistematico, una minaccia terrorizzante e distruttiva per molti prossimi ex mariti/compagni/padri? Con le conseguenze del caso? Pensiamoci.
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