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Quello che segue sarà un articolo lungo, denso di cifre e ragionamenti, è bene avvisare il lettore fin da subito. C’è di buono che il finale sarà sorprendente. Chi ha voglia di farsi accompagnare attraverso numeri e dati dunque proceda. Si tratta di un’analisi approfondita dei dati (non stime, ma DATI) che ISTAT ha messo a disposizione sul suo portale dedicato alla violenza sulle donne. Ebbene sì, l’ISTAT ha un portale dedicato a questo argomento… Grazie allo stanziamento di 2 milioni di euro da parte del Dipartimento Pari Opportunità, l’Istituto ha raccolto una serie di cifre relative a denunce, procedimenti e condanne per i reati in teoria più comunemente perpetrati a danno delle donne. Sfortunatamente la loro aggregazione non è sempre coerente, e qui c’è la maggiore difficoltà nella loro analisi. Viene da chiedersi come mai: 2 milioni di euro per richiedere i dati agli uffici statistici del Ministero dell’Interno e quello della Giustizia, per poi sistematizzare tutto in un database sembrano sufficienti per un risultato omogeneo, ma pare che non sia così. In ogni caso, addentriamoci nel database e cerchiamo di capire l’ampiezza del fenomeno con i dati disponibili.
La prima tabella da analizzare è sicuramente quella chiamata “Autori e vittime dei delitti denunciati dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria: Delitti violenti, sesso, età, cittadinanza“. Riporta il numero di denunce a carico di uomini e donne per una serie di reati. Guardando la parte dedicata alle vittime si nota come il dato di genere sia piuttosto omogeneo: come dico da sempre, la violenza è umana, la si fa e la si subisce a prescindere dal genere. Ma passiamo oltre, a noi interessa altro. Ossia cercare di capire annualmente quante denunce vengono presentate a carico di uomini. Il dato più recente è del 2016, che quindi prenderemo come anno di riferimento. Però con prudenza: la tabella “Procedimenti e reati al momento della decisione del PM – adulti: Reati violenti, intervallo tra iscrizione e definizione del reato” ci informa che buona parte delle denunce, con una forbice tra il 35 e il 49% per i quattro reati presi in considerazione, viene definita nell’anno successivo a quello della sua presentazione. Se applichiamo queste percentuali alle denunce presentate nel 2015, abbiamo questi risultati:
Tipo di delitto | Tot. denunce vs. uomini 2016 | Stima rimanenza denunce vs. uomini 2015 | Tot 2015/2016 denunce vs. uomini | Media 2015/2016 denunce vs. uomini |
---|---|---|---|---|
Omicidio volontario | 1.270 | 323 | 1.593 | 797 |
Percosse | 13.498 | 6.050 | 19.548 | 9.774 |
Stalking | 11.507 | 1.822 | 13.329 | 6.665 |
Violenza sessuale | 8.826 | 4.994 | 13.820 | 6.910 |
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Le cifre sono credibili: già in passato ho rilevato qui che il totale annuo delle denunce per questo tipo di reati si aggira tra le 50 e le 55 mila. Va detto che, in questa sezione delle statistiche, tra i reati denunciati mancano i “maltrattamenti in famiglia”, che hanno numeri importanti sia in termini di denunce che di archiviazioni e che, curiosamente, vengono trattati soltanto nelle tabelle successive. E va anche precisato chiaramente che il dato sugli omicidi commessi da uomini riguarda il totale degli omicidi, non solo quelli con vittime donne, che come si sa incidono sul totale per il 5-15%. Idem dicasi per le percosse (vittime donne pari al 39%). A questo punto, in ogni caso, l’interesse è quello di capire in termini realistici quante di queste denunce vengano archiviate (dunque considerate inconsistenti, false, non provate, sovrastimate) e quante vadano in procedimento, ossia proseguano il loro iter con un processo penale. Analizzando la tabella “Procedimenti e reati al momento della decisione del PM – adulti: Reati violenti, tipo di decisione“, le cose si fanno complicate, perché le tabelle del database non riportano più una divisione tra uomini e donne. I numeri presenti dunque si presume che siano complessivi. Certo la quota di donne che va a processo per questi reati non è grandissima, ma comunque i numeri che vedremo vanno considerati come sovrastimati. Non solo: se si applica banalmente un rapporto tra denunce archiviate e processate nel 2016 rispetto alle denunce presentate nello stesso anno, in alcuni casi si hanno percentuali oltre il 100%. Un’anomalia derivata dal fatto che nel 2016 si archivia la rimanenza delle denunce presentate nel 2015. Per venire a capo di ciò non resta che cercare di distribuire le archiviazioni medie sulla quota-parte delle denunce dei due periodi, ottenendo questi risultati:
Tipo di delitto | Tot denunce vs. uomini | % archiviate 2015/2016 | % processate 2015/2016 |
---|---|---|---|
Omicidio volontario | 1.593 | 28% | 72% |
Percosse | 19.548 | 68% | 32% |
Stalking | 13.329 | 47% | 53% |
Violenza sessuale | 13.820 | 56% | 44% |
Anche qui c’è una coerenza con quanto si è sempre sostenuto: per gli omicidi si delibera nella maggior parte dei casi per un procedimento. Si tratta di un reato che mobilita grandi potenzialità investigative, data la sua gravità, quindi in genere si raccolgono prove ed evidenze sufficienti a porre il denunciato in stato d’accusa. Ben diverso il trend per gli altri tre reati, tra i più manipolabili e strumentalizzabili, nonché i più utilizzati (insieme ai maltrattamenti, purtroppo fin qui assenti) nell’ambito delle false accuse, con una speciale concentrazione nei casi di separazione coniugale. Non a caso per quelle tre fattispecie l’archiviazione è significativamente frequente. Classificata la metà delle accuse come infondate, eccetto per l’omicidio, concentriamoci ora su coloro che finiscono davanti al giudice e che vengono sentenziati come colpevoli dei reati ascritti. La tabella di riferimento (“Condannati con sentenza irrevocabile – Caratteristiche demografiche: Reati violenti – reg.“) torna a separare i dati tra uomini e donne, aiutandoci a precisare meglio il dato. In aggiunta è possibile vedere anche quanti dei condannati sono finiti concretamente in carcere, sebbene il dato sia disponibile solo per l’omicidio volontario e lo stalking (“Condannati con sentenza irrevocabile – Caratteristiche demografiche: Reati violenti, pena inflitta, periodo reclusione“). Ecco dunque il primo punto d’arrivo del ragionamento:
Tipo di delitto | Tot denunce vs. uomini | Denunce a processo | Denunce in condanna | % su processate | % su denunce | Detenuti |
---|---|---|---|---|---|---|
Omicidio volontario | 1.593 | 1.147 | 589 | 51% | 37% | 455 |
Percosse | 19.548 | 6.255 | 368 | 6% | 2% | - |
Stalking | 13.329 | 7.064 | 1.229 | 17% | 9% | 1.088 |
Violenza sessuale | 13.820 | 6.081 | 1.432 | 24% | 10% | - |
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Come si nota chiaramente, le denunce che più frequentemente si concludono con la condanna sono quelle per omicidio, per i motivi sopra spiegati. Per le altre si ha una prevalenza di assoluzioni (clamoroso il dato sulle percosse…) rispetto ai procedimenti. Se si misura la percentuale sul numero di denunce presentate, i numeri si abbassano ulteriormente, a riprova che denunciare è diventato quasi uno sport in Italia. Va detto, osservando i dati sulle carcerazioni, che i giudici sembrano particolarmente prudenti a condannare per i reati più facilmente strumentalizzabili da chi accusa, e questo è positivo, sebbene sollevi le proteste giustizialiste delle femministe radicali. Quando però decidono di farlo ci vanno giù pesante: la stragrande maggioranza dei condannati finisce infatti in carcere (salvo l’assurdo della maggiore incidenza di stalker che assassini in prigione…), segno probabile che le accuse a loro carico erano non solo fondate ma anche molto ben dimostrate. Eccoci dunque al primo punto importante del discorso: anzitutto se sommiamo per i quattro reati la percentuale di denunce archiviate e di quelle che finiscono in assoluzione, abbiamo un risultato sconvolgente, almeno per chi non ha mai letto questo blog:
Tipo di delitto | Denunce | Archviazioni | Assoluzioni | % Denunce finite in nulla |
---|---|---|---|---|
Omicidio volontario | 1.593 | 446 | 558 | 63% |
Percosse | 19.548 | 13.293 | 5.887 | 98% |
Stalking | 13.329 | 6.265 | 5.835 | 91% |
Violenza sessuale | 13.820 | 7.739 | 4.649 | 90% |
Omicidio a parte, per i motivi già detti, la quota percentuale di denunce che finiscono in nulla, pur ponendo l’accusato in serie difficoltà sociali, economiche e familiari è onestamente spaventosa per quei reati che si presume siano tipicamente commessi da uomini contro le donne. I numeri raccontano un’altra realtà: una vera e propria montagna di denunce infondate, false, non provate, che saturano procure e tribunali ostacolando il percorso di giustizia per le vere vittime. Dove starebbe dunque l’emergenza nazionale della violenza sulle donne? In quei 1.200 persecutori e 1.400 stupratori su un totale di circa 25 milioni di uomini (immigrati compresi)? Percosse e omicidi vanno presi con prudenza, come detto, perché non sono per forza reati commessi contro le donne, anzi. Ma anche fosse, sono cifre che non solo smentiscono che ci sia un’emergenza violenza sulle donne nel nostro paese, ma anzi confermano il dato europeo che nel nostro paese le donne hanno di che stare sostanzialmente tranquille, visto che rischiano di imbattersi in uno stalker nello 0,0048% dei casi e in uno stupratore nello 0,0056%. Anzi forse anche meno, visto che si ragiona per denunce e non per individui (un solo uomo può essere denunciato, processato e condannato perché ha picchiato e stuprato una donna, dunque si hanno due accuse, due condanne ma un solo individuo colpevole). Eppure, ciò che raccontano i media di massa, i politici e le esponenti del femminismo radicale italiano è ben diverso. Capite perché ANSA prima e il Fatto Quotidiano poi hanno ripreso fin da inizio anno a suonare la grancassa della propaganda? Se uno va a vedere i numeri rischia di svegliarsi, dunque meglio provvedere subito.
Ma… sorpresa! Non è finita. Facendo un veloce calcolo, le condanne nel 2016 per i quattro reati a carico di uomini ammontano a 3.618. Ripuliamo il dato degli omicidi: secondo Repubblica nel 2016 i “femminicidi”, qualunque cosa voglia dire, sono stati 120. Ipotizziamo che siano tutti finiti in condanna, il totale passa a 3.149. Sarebbero da ripulire ugualmente anche gli altri tre reati, ma è un’operazione pressoché impossibile da fare da parte mia (l’avesse fatto l’ISTAT, ma figurati…), e un’ulteriore ripulitura, altrettanto impossibile, sarebbe quella di ridurre il numero agli individui e non alle denunce o condanne. Ma lasciamo così, è un dato molto svantaggioso rispetto alle tesi che qui si sostengono da tempo, quindi va benissimo. Ora diamo un’occhiata al report stilato dalla ONG “ActionAid” e pubblicato sul portale “Donne che contano“. Un nome che vorrebbe significare “donne che hanno importanza”, ma in realtà parla di soldi quindi appare subito l’immagine della ex che sfoglia il malloppo di bigliettoni versati dall’ex marito. O anche dei centri antiviolenza, ugualmente intenti a sfogliare il malloppo. Il report di ActionAid infatti fa il conteggio dei denari pubblici versati alla galassia-business di Rosa Nostra. Tolti i 2 milioni di euro per l’ISTAT, si ha questa bella cifretta:
Centri antiviolenza | € 11.994.993,00 |
Formazione PS e CC | € 12.998.700,00 |
Inserimento al lavoro | € 19.889.037,00 |
Numero 1522 | € 1.230.000,00 |
Formazione numero 1522 | € 520.000,00 |
Sensibilizzazione scuole | € 5.000.000,00 |
Monitoraggio | € 1.300.000,00 |
Da Regioni | € 30.800.000,00 |
Altri | € 420.000,00 |
TOT | € 84.152.730,00 |
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Tutti soldi che, da un canale o dall’altro, finiscono in tasca alla galassia dei centri antiviolenza. Perché chi vuoi mandare a fare “sensibilizzazione” (ossia indottrinamento) nelle scuole? Chi vuoi mandare a fare “formazione” (ossia indottrinamento) alla Polizia e ai Carabinieri? Sempre loro sono, che dal tappo o dalla spina drenano poco meno di 85 milioni di euro. Ora, visti i dati precedenti, ho voluto andare a fondo in un calcolo che sicuramente è ozioso, ma mi incuriosiva, e voglio condividerlo con i lettori. Stando sempre all’ISTAT, i centri antiviolenza “accreditati” (chissà cosa vuol dire…) in Italia, sommando anche la comica dei “Centri per uomini maltrattanti”, sono 282:
Abruzzo | 9 |
Basilicata | 4 |
Calabria | 7 |
Campania | 50 |
Emilia-Romagna | 19 |
Friuli Venezia-Giulia | 6 |
Lazio | 9 |
Liguria | 7 |
Lombardia | 29 |
Marche | 5 |
Molise | 1 |
Piemonte | 22 |
Puglia | 24 |
Sardegna | 7 |
Sicilia | 14 |
Toscana | 24 |
Umbria | 4 |
Veneto | 21 |
CAM | 20 |
TOT | 282 |
Ipotizziamo per un attimo, e assolutamente per assurdo, che tutte le condanne di uomini colpevoli dei reati analizzati siano dovute all’efficienza e all’attivismo di questa rete di prevenzione e difesa delle donne. Naturalmente non esiste alcuna efficienza e la cronaca lo prova abbondantemente, ma ipotizziamo che sia così. Ebbene con una semplice divisione si ottiene che essi garantiscono ogni anno 11 condanne ciascuno (3.149 / 282). Se operiamo la stessa divisione con il denaro “investito” dallo Stato per questi efficientissimi soggetti, rileviamo che ognuno di loro si pappa in media quasi 300 mila euro. Naturalmente non è così: i media non lo raccontano, ma si sbranano tra loro per quelle cifre e c’è chi fa l’asso pigliatutto e chi prende le briciole. Ma usiamo la media e teniamo il valore di 300 mila euro. Dividiamolo poi per le condanne che essi garantiscono contro questi uomini italiani violenti e bruti. Si ha che lo Stato spende all’incirca 27 mila euro per garantire ogni singola condanna attraverso i centri antiviolenza. Un po’ tantino, non trovate? In realtà quello che ho fatto è un calcolo, molto basico e semplificato, dei costi e benefici dei centri antiviolenza. L’ho fatto su una serie di ipotesi per assurdo, anzitutto quella della loro perfetta efficienza. La realtà è che su quelle 3.149 condanne probabilmente solo una quota minimale si deve al loro intervento, con ciò rendendo ancora più parossistica e inaccettabile la spesa dello Stato a loro favore. Anzi, a ben guardare è probabilmente è una spesa in perdita, doppia, forse anche tripla e quadrupla. E’ noto a tutti che i centri antiviolenza sono piuttosto dietro le denunce che finiscono in nulla, che non dietro alle condanne. Soldi spesi malissimo dunque, perché questa loro attività satura procure e tribunali, con costi economici e umani (le vere vittime non tutelate) ben maggiori di quegli 84 milioni di euro. Gran parte dei quali, è altrettanto noto, finiscono in stipendi di persone nella maggior parte sottoqualificate o non qualificate del tutto. Oppure in convegni dove le capette dei centri antiviolenza possono mettersi in mostra di fronte a politici compiacenti e così sperare di rafforzare la propria influenza o addirittura innescare una ricca carriera politica.
Le conclusioni non le traggo, perché sono insite nelle riflessioni sviluppate fin qui. Mi limito a segnalare, anzi denunciare, due mancanze molto gravi in questo complesso di dati statistici resi disponibili. Anzitutto manca un incrocio tra le denunce archiviate o finite in assoluzione e le cause di separazione. Sarebbe interessante sapere quante di esse sono scaturite da un procedimento separativo, nell’ottica di avere una misurazione precisa del fenomeno delle false accuse, di contestualizzare al meglio le situazioni entro le quali avvengono le separazioni e di capire quali provvedimenti prendere per disincentivare quell’infame pratica. Ho chiesto all’ufficio statistica del Ministero della Giustizia questo tipo di incrocio, ma mi ha rimandato all’ISTAT. Chiaro, io sono il misero gestore di “Stalker sarai tu”, mica l’ISTAT. Soprattutto non ho i 2 milioni di euro dell’ISTAT… Altra mancanza gravissima è il monitoraggio numerico preciso degli accessi agli sportelli o centri antiviolenza o delle chiamate al Telefono rosa, con una tracciatura precisa dell’esito della vicenda segnalata. Sarebbe indispensabile per capire se e quanto servono quelle realtà nel nostro paese, e se dunque ha senso investire così tanti soldi pubblici, magari utilizzabili per aiutare le famiglie che si separano tra difficoltà economiche, e per questo spesso prede di conflitti che degenerano. Ma anche questo tipo di rilevazione non si farà mai: i centri antiviolenza, appigliandosi alla fuffa di Istanbul, sostengono che i loro accessi devono restare riservati, che sono vincolati all’anonimato. Porte aperte al gonfiaggio incontrollato, dunque. E chi si oppone a un’impostazione che è una mera policy interna e non legge, come la Regione Lombardia, è dannato e scomunicato per l’eternità. Anche in quella segretezza sta il segreto del successo di quella forma imprenditoriale che sono le associazioni antiviolenza. Come la ricetta della Coca-cola, deve restare tutto segreto. Non per il rischio di venire copiati però, ma per quello di venire scoperti con le mani nella marmellata.
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