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Mi è stata fatta pervenire una lettera che Elvia Ficarra, Vice-Presidente della Fondazione Europea GESEF, ha personalmente consegnato il 24 novembre scorso alle senatrici Valeria Valente e Valeria Fedeli, come rappresentanti di quelle che Ficarra stessa definisce come “Compagne di genere”. E’ una lettera potentissima, come solo una donna vaccinata dalle falsificazioni ideologiche del femminismo contemporaneo può scrivere. E’ un testo lungo e articolato, ma così colmo di verità talmente ben espresse da valere il godibilissimo tempo della sua lettura. Una standing ovation a Elvia che l’ha scritta e un ringraziamento a Vincenzo Spavone che me l’ha fatta pervenire. [Nota: le due senatrici non hanno mai risposto. Ovviamente…].
Gentilissime Onorevoli,
vorrei dedicare alcune riflessioni circa il vostro fervore politico degli ultimi mesi, quasi completamente dedicato a denigrare, osteggiare e (sogno non esaudito) far ritirare il DDL 735. Non intendo qui replicare nei dettagli a quanto da voi evidenziato in varie sedi riguardo al c.d. Ddl Pillon sull’affido dei figli minori in caso di separazione/divorzio dei genitori. Essendo la scrivente associazione relatrice di una delle proposte di legge che nel 2006 contribuì al varo della legge 54 inerente l’affido condiviso, e oggi in prima linea a sostenere citato DDL, sono abituata da anni a discuterne con vari interlocutori, in diverse sedi istituzionali e non. Le vostre dissertazioni sono analoghe (anzi inferiori) a quelle di coloro che già 15 anni fa osteggiavano la riforma, tutte sempre confutate con argomenti di ben altra portata e spessore, frutto di un’esperienza maturata in decenni di attività attraverso la disamina di migliaia di casi.
In qualunque sede istituzionale, mediatica e salottiera, vi adoperate a propugnare l’immagine di una donna sempre vittima dell’onnipotenza e del dominio maschile, incapace di qualsivoglia difesa, debole economicamente, fragile emotivamente, infantilizzata ed handicappata sociale, bisognosa di costante badantaggio. Un ruolo umiliante, ma anche un’icona funzionale a chi si è fatto paladino del riscatto femminile propinando l’opportuna “protezione” in cambio di voti e potere. E ha quindi scalato, negli anni, buona parte di quei settori parlamentari, giudiziari, cultural-scientifici, della pubblica amministrazione e mediatici, appropriati a tale scopo. Utilizzandoli al meglio. Qualche anno di sevizio nel Femminismo vale una pensione a vita: tra diritti d’autore, indennità parlamentare e profluvio di fondi pubblici.
Cosicché al patriarcato, che della donna rappresentava la medesima immagine di debolezza arrogandosi la potestà, si è sostituita la sorellanza del cosiddetto “branco rosa” burocratizzato il quale, facendosi interprete del necessario affrancamento dalla persistente oppressione, si è illuso di poter stendere a tappeto il controllo politico/elettorale sull’altra metà del cielo. Il tutto nell’intento di modificare la società, a cominciare dalla famiglia, attraverso l’autocertificazione collettiva e assembleare dei superiori valori femminili. All’ideale maschilista-borghese, che assegnava alla donna l’esclusiva funzione di moglie/madre economicamente marito-dipendente, si è sostituita la dottrina neofemminista della “differenza”. Quella che alla donna emancipata e tecnologizzata del ventunesimo secolo predica ancora la maternità come status sociale primario, simbiotico, compensativo. Ma – e qui sta la novità – anche come fonte di diritti e poteri. E, nel prevedibile caso di separazione/divorzio, come inesauribile carta di credito per garantirsi un vitalizio a carico del marito-bancomat. Il maschilista assegno di mantenimento ecco, quello l’avanguardia redentrice proprio non lo vuole mollare. Il diritto delle donne al divorzio assistenziale e monogenitoriale è intoccabile. Cui si aggiungono i benefits dello Stato. Lo Stato Interessante.
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Le lobby femministe e le donne di potere, che intrecciano ruoli istituzionali a incarichi dirigenziali in sindacati, centri antiviolenza e associazioni assortite, continuano ossessivamente, senza timore del ridicolo e della smentita, a spacciare statistiche taroccate allo scopo di alterare la percezione della realtà. Sostanze Stupefacenti. La più recente e grottesca, sostenuta in un convegno (Senato, Sala Nassyria 17-10-2018) e confermata in un talk-show pomeridiano, riguarderebbe la massa di madri separate che irrompono nei Tribunali a invocare il mandato di comparizione dei “padri assenti”. Giusto Senatrice Valente? Dalla tele-visione alla visione-delirante. Falsità, faziosità, assordanti silenzi, manipolazione e indottrinamento qualificano la quotidiana narrazione femminocentrica su cui i media sono appiattiti: una versione della realtà conforme al rosa-diktat.
Il movimento femminista ha consacrato il genere femminile come classe svantaggiata, oppressa, perseguitata. Si è strutturato su questa rivendicazione e ha fatto del suo “essere vittima” un baluardo identitario, una bandiera: la donna è vittima in quanto donna. L’avere o meno subito violenza è irrilevante. Basta la percezione. Che può modificarsi nel giro di poche ore oppure affiorare dopo venti anni. Incertezza del reato, certezza della pena. Con tali presupposti è facile capire perché, a fronte di una modifica legislativa che statuisce la compiuta parità genitoriale di diritti e responsabilità, il discorso venga dirottato fino all’inevitabile schianto nel conflitto di genere.
Sono state chiamate a raccolta per “bacchettare” il Governo Italiano persino le milizie blasonate ONU. Ovvero le eredi del movimento femminista promosso e finanziato da Fondazione Rockefeller e altre entità definite massoniche, con l’obiettivo di minare le basi della cultura occidentale. A cominciare dalla distruzione della famiglia, per continuare con Scuola e Chiesa, e finire con l’invasione migratoria odierna. E Globalizzazione fu. I loro report sulla violenza domestica contro le donne già nel 2005 furono rigettati dall’Assemblea ONU, che aveva in precedenza decretato il 25 novembre come giornata commemorativa contro tale fenomeno, poiché il contenuto risultava “…outrageously inaccurate, contrived, manipulated and most distinctly dangerous” (oltraggiosamente inaccurato, calcolato, manipolato e molto chiaramente pericoloso”), come riportato dalla stampa statunitense. Interpretazione simultanea: il conflitto di genere è una strategia che organizza interessi economici e fini politici, fondata sulla demonizzazione e discriminazione dell’identità maschile.
Le abbiamo viste sciamare ululanti e incappucciate lungo chilometri di avenue americane in una farsesca solidarietà islamica. Ma per Asia Bibi, la madre pakistana cristiana condannata a morte per eresia dai suoi concittadini maschi, neppure Cento Passi. Le “ancelle” nostrane, affiancate da assessore, sindacaliste, parlamentari e varia connivenza istituzionale, il 10 novembre scorso hanno fornito nuova prova della loro sorellanza, ma per Pamela e Desirée non ci sono scarpette rosse nelle piazze cittadine. Solo mugolio per l’attenzione che si sposta dai loro manifesti terroristici: “L’assassino ha le chiavi di casa” alla ferocia d’importazione. Cambia il colore dei cappucci da bianco a nero. Cambia il colore del bersaglio da nero a bianco. Ma il metodo è simile: Ku Klux Klan.
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Accecate da livore patologico pretendono di padroneggiare il maschile, di rieducarlo attraverso campagne come “Il Fiocco Bianco”. Vasectomia intellettuale. Salvo disprezzare chi vi si adegua. Infatti abbiamo visto molte di loro convertirsi in zerbino, pur di tenersi accanto un uomo refrattario al maschiopentitismo. Le più fondamentaliste si illudono di comandare il mondo, sfondare “il tetto di cristallo”: sono invece strumenti (inconsapevoli?) di un programma socio-politico deciso da una ristretta cerchia, per lo più maschile, molto al disopra delle loro testoline. Quando non serviranno più verrà loro annullato il salvacondotto esistenziale di genere, che le ha introdotte dovunque e giustificate in ogni regressione e conformismo. Verranno zittite e deposte in cantina. Al buio. Ma i danni già attuati sono irreparabili. Hanno sperperato tutte le risorse di un vero cambiamento socio-culturale. Hanno mistificato il passato e bruciato il futuro, Hanno prodotto generazioni successive depresse, lamentose, irresponsabili, rendendo un buon servizio al nemico che dicevano di combattere. L’autorità paterna è stata soppiantata dal dominio delle merci, dell’omologazione, del consumismo. Anche di alcool, droghe, social network. L’ecatombe cui assistiamo, per citare solo gli incidenti stradali, offre dati centuplicati rispetto al cosiddetto “femminicidio”. Neolingua femminista che occulta abilmente tutto il resto.
Anziché l’obbligatorietà degli “Studi Gender”, sarebbe più opportuno introdurre nelle scuole serie campagne anti-droga, le sue conseguenze, chi le spaccia e perché. Non le pare Senatrice Fedeli? Per la setta femminista, le donne non sono l’ispirazione, ma la materia prima nel senso peggiore del termine. Arnesi utili allo scopo di infiammare l’odio contro gli uomini e contro l’equilibrio delle famiglie. E quando non si conformano vengono massacrate. Erin Pizzey, tra le prime fondatrice di un centro anti-violenza per donne e uomini, quando ne mise in discussione la deriva fondamentalista fu minacciata di morte e costretta ad emigrare. La Rete ha moltiplicato ovunque quei Centri, divenuti pro-violenza. Sovvenzionati con soldi pubblici, fanno parte integrante dell’industria del divorzificio. Dove, spesso, operatrici rivestite di un ruolo esercitano un’autorità che permette loro di proiettare le proprie frustrazioni e vendette insoddisfatte verso l’altro sesso, riversandole su uomini sconosciuti. Fanno leva su disagi e debolezze di donne separande/te, per tirarne fuori la parte più aggressiva ed alimentare il conflitto verso il partner, devastandole e sfruttandole. Livore per procura e parcelle assicurate dal gratuito patrocinio.
All’indomani del varo della legge 54/2006 che introduceva l’affido condiviso, sul sito del Centro Differenza Donna alla voce Assistenza Legale si legge: “…le nostre legali intervengono a favore della donna solo nei casi di separazione decisa per violenza agita nei confronti della donna stessa e dei bambini. Professioniste molto motivate, sempre al corrente delle ultime leggi, molto valide nel sottolinearne le novità negative e trovare il modo di aggirarle. Da allora le denunce per violenza domestica contro il partner in sede separativa sono schizzate al pari delle statistiche taroccate di cui sopra. Hanno sostituito le precedenti accuse di pedofilia, più difficili da simulare. Se la violenza non c’è si trova il modo di costruirla: False accuse nel 97% dei casi di separazione. Una brutalità dalle proporzioni macroscopiche, sulla cui emergenza convergono operatori coscienziosi di diverse aree coinvolte: Polizia, Magistratura, Avvocatura, Neuropsichiatria, Psicologia, Criminologia. Un dramma sociale che non solo devasta adulti e minori, ma insulta chi una violenza l’ha subita davvero.
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L’intento del DDL 735 è proprio quello di scoraggiare le false accuse, non quelle vere. La cosa più grave è che si sia costretti a questo. Attendiamo che la Commissione Parlamentare sul Femminicidio indaghi sull’operato di questi Centri: quanti casi esaminati, quante denunce penali intraprese, l’esito e l’impatto su adulti e minori coinvolti, rendendo pubblici i risultati. E diffonda le Ricerche a livello europeo e mondiale che ci raccontano in modalità scientifica come la violenza domestica sia appannaggio di entrambi i sessi, ma agita perlopiù dalle donne per induzione provocatoria, e come l’infanticidio sia un primato femminile. La violenza genera violenza: ricatti, vendette, prassi discriminatorie, calunnie, esproprio di figli beni reddito e dignità, pernottamenti all’addiaccio e pasti caldi alla Caritas possono anche indurre un essere umano disperato a gesti estremi. O preventivi. E scegliere galera e morte sociale da colpevole piuttosto che subirle da innocente. Certo sono gesti ingiustificabili e inaccettabili. Approfondire gli antecedenti, e non solo strepitare mediaticamente sulle conseguenze, aiuterebbe a comprendere meglio e prevenirli. Dopo aver tappezzato per decenni i muri cittadini con manifesti maschiofobici, la Nomenklatura Rosa faccia ora un esame di coscienza e si assuma le proprie responsabilità
Ma tutte queste cose le gentile Senatrici e le Signore in indirizzo le conoscono bene. Ciò che non comprendono è che al di fuori del recinto femminista circondato da filo spinato esiste una moltitudine di donne “altre”. Maggioranza silenziosa. Finora. Ci sono le reduci della crociata anti-maschio. Vittime di se stesse, non riescono ad “emanciparsi” dalla trappola di solitudine, depressione, nevrosi ossessiva, conflittualità permanente, anaffettività e attaccamento patologico ai figli, nella quale sono imprigionate. Ci sono le vittime postume dei Centri pro-violenza: che non riescono a fronteggiare i disagi dei figli. I quali agiscono lo stesso modello di comportamento vessatorio, ricattatorio e manipolante di cui sono stati vittime, strumenti e testimoni. O, in alternativa, diventano abulici, anoressici, facili prede dello “sballo” e delle baby gangs. Le più anziane, da sessantottine a sessantottenni si trovano a dover difendere i figli maschi adulti, nuova generazione bersaglio della discriminazione sessista. L’orgia dei Diritti si rivela un autentico boomerang. Le più previdenti si guardano bene dall’intestare qualsivoglia proprietà ad un figlio in procinto di sposarsi o diventare padre. Alcune sono totalmente immuni da contaminazioni femminista: Vaccino Antiinfluenzale. Altre festeggiano serenamente le Nozze d’Argento. Eroine della Resistenza anti-fem.
Ci sono poi sorelle, figlie e nuove compagne degli uomini bersaglio, che vivono quotidianamente sulla loro pelle gli effetti collaterali. Tutte sanno benissimo che il vittimismo posticcio è un potere ricattatorio formidabile, perché occulto ed inattaccabile; ma a lungo andare presenta il conto: una sofferenza vera. Non nutrono perciò alcun rispetto verso chi glielo cuce addosso per arraffare un potere manifesto. E non ringraziano. Sono ben consapevoli che quelli di cui godono non sono diritti e pari opportunità conquistati lealmente. Ma privilegi, ottenuti mistificando la realtà e sbaragliando il “nemico”, l’intero genere maschile, con un’annosa campagna di demonizzazione e criminalizzazione spietata. A colpi di leggi, normative e giurisprudenza anticostituzionali che calpestano sistematicamente i diritti altrui, quelli veri. Per questo non si fidano più della sorellanza rappresentativa. E cominciano a dissacrare le dissacratrici familiari, spezzando con la propria voce il coro monocorde. E qualcuno presta ascolto: votano anche loro. L’impoverimento generale, il degrado socio-culturale, la disoccupazione galoppante ed il Progetto Globale che vacilla accelerano riflessione e metamorfosi. Qualcosa cambia, La Storia gira.
Gentili Senatrici e Compagne di Genere: prendetene atto e fatevene una ragione. E’ comprensibile che il vostro bacino elettorale, ristretto ma compatto e ben organizzato, passi ora all’incasso. Abbiamo visto, però, come l’ideologia affaristica dell’accoglienza migranti si sia schiantata sul pattume di Mafia Capitale & C. E se l’ideologia affaristica della “tutela donna-vittima” si schiantasse sul pattume di un’eventuale Mafia Rosa?
A voi la risposta
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