Ebbene sì, è così. Non lo dico io, non avrei mai il coraggio di utilizzare un termine già di suo abbastanza vago come “femminicidio” associandolo ad apparati medicali. Chi ha il coraggio di farlo, e non stupisce, è “L’Espresso”. In questo articolo racconta di donne che hanno patito infezioni gravi, che le hanno portate anche al decesso, a causa di protesi o apparati anticoncezionali (spirali) non a norma o tossiche. Al di là del fatto in sé, gravissimo perché mette in dubbio l’efficacia dei controlli a monte del Sistema Sanitario Nazionale, fa impressione l’utilizzo biecamente strumentale del termine “femminicidio” nel titolo, abbellito, forse per pudore, dall’aggettivo “silenzioso”. La necessità di imporre quel vocabolo orripilante ormai non conosce più confini, né etici né di mera decenza: l’imposizione della neolingua, con tutti gli interessi che si porta dietro, porta a superare di slancio il ridicolo, un po’ come avevo già notato per i termini “femminista” e “maschilista”. Ma d’altra parte “L’Espresso”, che a forza di parlare di fascismo in assenza di fascismo sta fallendo miseramente, ha bisogno di attirare lettori sulle sue inserzioni, e cosa c’è di meglio di una botta di “femminicidio” nel titolo? E d’altra parte ancora il numero di femminicidi, quelli “veri” (diciamo così), è talmente basso che riuscire quatti quatti a ficcarci anche le poverette morte per una spirale tossica verrebbe proprio bene. Ormai la propaganda è andata talmente oltre che ci potrebbero anche riuscire. Rimane solo l’augurio di non essere l’unico a cogliere il parossismo e l’assurdità di questo tipo di informazione.
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