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di Giuseppe Augello – Si può condannare una persona per un omicidio che non si sa se sia mai avvenuto? Ebbene sì. Quando si tratta di un uomo che avrebbe ucciso la propria moglie, dicesi madre dei suoi figli, sì. Anche se avrebbe dovuto avvenire, più che per futili motivi, senza motivo, in modo improvviso, durante il normale tran tran familiare e facendo sparire un corpo di notevole statura in modo misterioso. Non è che si sta esagerando pur di annoverare nelle statistiche un “femminicidio” in più? Ovviamente è una battuta, ma il furore giustizialista dei giudici quando si tratta di una moglie scomparsa non conosce evidentemente limiti né ragioni. In base a un processo solo indiziario viene infatti condannato Antonio Logli, a piede libero, dopo un processo di primo grado seguito dall’appello che ha confermato la condanna. La vicenda della scomparsa di una donna nel 2012, Roberta Ragusa, e del processo per omicidio che è stato intentato al marito di lei ha dell’incredibile e potrebbe essere presentato come uno dei tanti thriller giudiziari. Ma qui non si tratta di un film, bensì della pura realtà.
Ha lasciato una lista della spesa completata per metà e poi, vestita di un pigiama rosa, è scomparsa. Almeno così dicono. Era la notte tra il 13 e il 14 gennaio del 2012. Roberta Ragusa, bella madre di due figli, aveva 44 anni e abitava a Gello di San Giuliano Terme in provincia di Pisa. A denunciare la scomparsa di Roberta è proprio il marito. Antonio racconta che intorno alla mezzanotte del 13 gennaio 2012, prima di andare a letto, Roberta si è trattenuta in cucina per scrivere la lista della spesa che avrebbero dovuto fare insieme il giorno successivo. Poi, alle 6.45, il marito si sarebbe svegliato accorgendosi che Roberta non era a letto. Gli abiti erano ancora in camera, mancavano invece il pigiama rosa e le ciabatte. Ha trovato inoltre la porta di casa che non era chiusa a chiave come la sera prima e a casa c’erano i suoi effetti personali: cellulare, chiavi, documenti, soldi e borsetta. Fin da subito c’è sempre stato un unico indagato per la scomparsa di Roberta: proprio lui, il marito. Contro di lui le accuse sono molto pesanti: omicidio volontario e occultamento di cadavere.
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Ma perché Antonio Logli avrebbe dovuto uccidere la moglie? Roberta e Antonio lavorano entrambi in un una scuola guida di loro proprietà. Hanno due figli e conducono una vita molto ordinaria. I problemi tra i due sicuramente iniziano, dicono le voci della rete (senza alcun riscontro) quando Roberta scopre che Antonio ha una relazione extraconiugale con Sara Calzolaio, 29 anni, prima baby sitter dei propri figli, poi dipendente nella scuola guida. Secondo gli inquirenti, è “ovvio” che una volta che Roberta decide di “ribellarsi” al marito “cercando di porre fine a quella situazione”, avvenga il dramma. L’uomo preso dalla paura di perdere tutto (lavoro, famiglia e rispettabilità) avrebbe deciso di eliminare la moglie. E’ una ipotesi. Solo un pensiero fuggevole. Ma basta a condannarlo. La vicenda viene ricondotta al classico caso di una donna che “si ribellerebbe”, questo il termine usato dai media, al marito. Lo scontato quadretto della moglie sottomessa e schiavizzata che “trova la forza” di ribellarsi. Ma chi lo dice? Chi dice che la donna avrebbe saputo dell’amante la stessa notte? Qualcuno sostiene che lo sapesse già, lo aveva confidato alle amiche della palestra, ma nessuno conferma. Sarebbe credibile tale ipotesi se non fosse ormai l’iconografia classica del vangelo nazifemminista, sostenuto dal bombardamento mediatico sui femminicidi, a metterla nella mente del volgo giudicante? La scoperta di un tradimento dovrebbe suscitare reazioni inconsulte di chi lo scopre, non di chi è scoperto, o no?
Il 16 marzo 2015 il GUP proscioglie Antonio Logli perché non vi è neanche certezza della morte della moglie. Il giudice non accoglie quindi la richiesta della Procura che aveva affermato che il marito della Ragusa “è un bugiardo patentato”, spiegando che “Logli portava avanti da molti anni una relazione clandestina con un’amante che era una amica intima della moglie e ciò dimostra la sua capacità di simulare e dire menzogne”. E quindi? Quindi anche di uccidere a sangue freddo e con la stessa cinica freddezza organizzare in un paio d’ore il modo perfetto di far sparire un corpo senza lasciare tracce. Il passo è immediato e breve, secondo i tribunali. Ed è credibile che la donna non sapesse nulla dell’amante con la quale praticamente convivevano e scoprendolo “si ribellasse” incutendo nel marito una paura tale di “morte per separazione” da venirne uccisa a sangue freddo? Il PM aveva poi illustrato il “quadro psicologico” nel quale sarebbe maturato il delitto. Facile se, ipotizzato il delitto, si costruisce su di esso la personalità. Non il viceversa come sarebbe normale nelle migliori famiglie. Il marito ha un’amante? E’ un disgraziato fedifrago potenziale assassino. La moglie ha un amante? E’ una donna che cerca di ricostruirsi una vita distrutta dal marito oppressore! E viene uccisa per tale motivo! E’ il tema dominante cui ci vogliono conformare tutti.
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“L’imputato”, aveva sempre detto il procuratore in puro stile pro femminista, “si è tolto di mezzo una persona scomoda nel momento in cui ha capito che una separazione gli avrebbe fatto perdere tutto: la casa coniugale, i soldi, i figli e forse anche il lavoro. È in questo contesto che è maturato l’omicidio”. Pure congetture. Che dimostrano soltanto come la coscienza della separazione come evento distruttivo per la sola parte maschile sia ben presente nella coscienza dei giudici, che tuttavia non ne tengono mai conto in altri giudizi. Congetture effettuate con determinazione e noncuranza per cestinare la vita di un uomo e della sua famiglia. Poco tempo dopo il proscioglimento, il 18 marzo 2016 la Cassazione annulla tutto. Non si può mica chiudere così la sparizione della donna, pur in un paese come il nostro dove scompaiono e non sono ritrovate alcune migliaia di persone all’anno. Qui si tratta della moglie di un fedifrago quindi potenziale femminicida da manuale. Il boccone è ghiotto. Le donne in rete rivendicano una utile verità. L’allarme sociale è scattato. Dunque si celebra un nuovo processo.
I magistrati di primo grado non credono a Logli. A smentire la sua versione, secondo i giudici, arrivano alcune testimonianze. In primis le parole del cosiddetto supertestimone Loris Gozi. Proprio Gozi riferisce di avere visto Logli litigare con qualcuno quella notte in via Gigli, smentendo quanto da lui raccontato agli inquirenti, ovvero che non si era mai mosso da casa e che aveva scoperto dell’assenza della moglie solo il mattino seguente quando si è svegliato. Poi le testimonianze di Margherita Latona, ex collaboratrice domestica della famiglia, donnetta che nota uno “strano comportamento” dell’uomo la mattina seguente. La vicina di casa Silvana Piampiani che ha avuto la visita del Logli alla mattina successiva, e Filippo Campisi, il vigile del fuoco che quella sera si trovava a passare in zona. Campisi, che racconta di aver sentito delle grida di una donna. Tanto basta. È stata ammessa la richiesta di rito abbreviato per Antonio Logli, ma, come chiarisce la difesa dell’uomo: “il rito abbreviato non è un’ammissione di colpa”. Lo ha detto l’avvocato Roberto Cavani, dopo l’udienza preliminare bis nella quale l’uomo era imputato di omicidio volontario della moglie e distruzione del cadavere.
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La fine di Logli viene decretata probabilmente quando all’esterno del tribunale un presidio femminista commemora Roberta Ragusa e chiede un impegno contro quello che è già classificato come un “femminicidio” uguale a tutti gli altri. I siti nazifemministi, ovviamente colpevolisti, danno enfasi alla testimonianze, soprattutto di Loris Gozzi che “pensa” di avere visto Antonio litigare con la moglie quella notte in strada. Se etichettassimo come femminicidi tutte le sparizioni di donne, in fondo avremmo un bel numero sulla base del quale chiedere provvedimenti (anche economici). Ma qui c’è la possibilità della lite, che precede il femminicidio, come sancisce la narrazione classica. Antonio Logli viene così condannato a 20 anni di reclusione, più l’interdizione perpetua dalla potestà genitoriale, con lo sconforto dei figli, per fortuna già più grandi. La decisione è stata presa dalla giudicessa Elsa Ladaresta a conclusione del rito abbreviato. A nulla vale il racconto del figlio della coppia, oggi ventiduenne, che narra, quella mattina del 2012, di un padre preoccupato che lo avvisa attorno alle 6,45 della scomparsa della madre. Le cugine di Roberta Ragusa, Marika Napolitano e Maria Ragusa, costituitesi parte civile, dopo la lettura della sentenza di condanna di Logli, si dichiarano intanto soddisfatte!
Ora i due figli, oltre alla madre, rischiano di perdere anche il padre. Per il supertestimone Loris Gozi: “il carcere non si augura a nessuno, però è giusto che chi uccide un’altra persona debba pagare”. Strana la convinzione che dimostra. Appare anche una lettera anonima, nel gennaio 2018, che potrebbe aprire un nuovo capitolo sul caso: “indagate su un uomo suicidatosi a Pisa nel 2016 sotto il treno della linea ferroviaria Pisa-Lucca”, vi si legge. “Pomeriggio Cinque” torna in Toscana e raccoglie alcune testimonianze esclusive di chi conosceva quell’uomo: “era addetto al forno crematorio. So che è stato male a livello fisico, che aveva dei problemi e che attraversava un momento intimo in cui non stava bene di salute”, racconta un testimone. Nella lettera si legge che l’uomo era parecchio tormentato dopo la scomparsa di Roberta e che dopo il suicidio i familiari trovarono un lingotto d’oro nella sua abitazione. I punti interrogativi aumentano perché il forno in questione, al momento della scomparsa della Ragusa, era ufficialmente chiuso, e così non viene dato peso alla lettera. Eppure dicono anche che in quei giorni sono stati registrati dei consumi di gas che non lasciano dubbi: quindi il forno è stato utilizzato. Al solito, ognuno dice la sua. E spuntano le ipotesi più comode. Allora si ipotizza che Antonio, magari insieme al padre Valdemaro, avrebbe commissionato nottetempo la cremazione del cadavere, subito dopo l’assassinio. Il campo è aperto al giallista di turno. Ma è credibile che non vi sia traccia della cremazione? Nessuna indagine viene svolta, pure con le moderne possibilità scientifiche.
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La decisione in appello giunge dopo sette ore di camera di consiglio, con motivazioni depositate il 1° Agosto 2018, e una sentenza che conferma quella di primo grado. Dunque anche per i giudici dell’appello e per la giuria popolare Logli è colpevole dell’omicidio della moglie Roberta Ragusa e dell’occultamento del cadavere. La sentenza di secondo grado non era affatto scontata. Principalmente perché, in assenza del corpo della Ragusa, i giudici sono stati costretti a sostenere un processo di tipo indiziario, ovvero fondato su tanti indizi ma non sulla prova concreta della morte della donna. “Il suo mancato rinvenimento impedisce di verificare con quale mezzo sia stato cagionato l’evento morte ma non esclude che l’omicidio si sia realizzato”, scrivono incredibilmente i giudici. In sostanza, Logli non è riuscito a dimostrare di essere innocente!
Tuttavia non smette di difendersi dalle accuse: “L’ultima volta che l’ho vista? Era in cucina. Ricordo di aver trovato i suoi vestiti il giorno dopo appoggiati alla poltroncina di camera”. Ma i giudici hanno scritto a chiare lettere che la donna si sarebbe allontanata dalla casa di Gello per fuggire nei campi vicini l’abitazione dopo aver sentito la telefonata del marito all’amante e avere scoperto essere la Sara Calzolaio. Il marito, anziché correrle dietro, l’aspetta. Poi la lite tra un uomo e una donna riportata dal testimone chiave Loris Gozi. Ma la lite è avvenuta in strada, fuori, nei campi, o in casa? Nessuna ricostruzione lo accerta in modo sostenibile. Daniele Logli e sua sorella minore, hanno detto che non credono che il papà possa essere colpevole, credono che la mamma sia andata via. Punto.
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Secondo la motivazione sostenuta dai magistrati dietro l’omicidio ci sarebbero ragioni economiche. Ragioni in toto ribattute dalla difesa, secondo cui ci sarebbero numerosi passaggi illogici nella ricostruzione dei fatti che sostiene la condanna, fra orari incerti e racconti discordanti dei testimoni. In televisione è comparso lo stesso Logli: “Non ho mai fatto male a nessuno. Tanto meno a Roberta. Ammazzatemi perché l’ho tradita, ma non le ho mai fatto del male”. E’ evidente il senso di colpa che pervade l’uomo, per il solo fatto di aver avuto una amante. Il figlio Daniele racconta: “Quando babbo mi ha svegliato dicendo che mamma non si trovava più, credevo di sognare. Mi sono riaddormentato, non capendo la gravità della cosa. Poi sono andato a scuola. Io ancora oggi la cerco. Io spero sempre che torni. Ci sono buonissime possibilità che sia viva. Dal momento che non ho la certezza di un corpo, perché mi deve essere negata la probabilità?! Io non so spiegarmi questa cosa. Spero solo che stia bene. Nonostante tutto, noi saremo sempre pronti ad accoglierla. Forse però avrebbe paura di tornare, dopo tutto questo… Io son certo che babbo non le abbia fatto nulla”.
Così Daniele Logli parlando della madre, su Rete 4 a Quarto grado. Antonio ripete più volte che la moglie è viva: “Se io sono l’assassino, e non lo sono, lei è viva”. Della sera della scomparsa, Daniele ricorda i gesti particolarmente affettuosi della madre. “È venuta a rincalzarmi le coperte. Lo faceva quando ero piccolo”. Un atto che il difensore di Logli definisce “un saluto”. Segue la ricostruzione della telefonata di Logli all’amante dalla quale sarebbe scaturita la lite incriminata. Ricostruzione fatta con tanto di simulazione con TV accesa, dimostrando che Roberta “difficilmente avrebbe potuto sentirlo parlare”. Poi i dubbi sulla testimonianza di Loris Gozi. Nessuno ipotizza una mossa vendicativa e liberatoria insieme della donna. Una levata di testa e un gesto inconsulto. Manca un profilo psicologico della scomparsa.
Ma Roberta, per padre e figlio, è viva. “Noi speriamo e aspettiamo che torni. Io non l’ho uccisa. Se l’assassino sono io, deve tornare. Almeno che non sia successo qualcos’altro”, spiega Antonio. “Non mi sono separato perché i ragazzi erano piccoli e abbiamo preferito aspettare. Ne avevamo parlato. Mi ha chiesto soltanto una volta se avessi un’amante… Gli unici nostri problemi erano per l’educazione dei figli”. Il figlio Daniele conclude: “se mamma avesse temuto per la sua vita avrebbe chiesto aiuto! Il rapporto con Sara si è costruito nel tempo. All’inizio non è stato facile. Babbo ha diritto di ricostruirsi una vita. Se babbo andasse in carcere sarebbe l’ennesima tragedia per noi che si va ad aggiungere alla mancanza di mamma. Io sarei dispiaciuto per un’eventuale condanna. Io crederei comunque all’innocenza del mio babbo. Se mamma ora ci sta guardando sa che vogliamo che torni”. In luglio inizierà l’ultimo atto della lunga e sentita vicenda processuale con l’udienza in Cassazione. Anche da ciò si misurerà la temperatura attuale segnata dal termometro della guerriglia nazifemminista, attuata non soltanto a scapito delle famiglie e della vita sociale, ma anche attraverso il potere giudiziario. E nessuno si senta invulnerabile, perché oggi in Italia noi uomini siamo tutti colpevoli fino a prova contraria.
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