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Dopo la petizione di “Rompere … il silenzio. La voce dei bambini” non poteva mancare una bella lettera aperta al Presidente Mattarella dell’associazione D.i.Re. – Donne in Rete contro la violenza. Costituitasi nel 2008, si tratta di un’associazione a carattere nazionale di centri antiviolenza gestiti da associazioni di donne, che affronta il tema della violenza maschile sulle donne secondo l’ottica della differenza di genere, collocando le radici di tale violenza nella disparità di potere tra uomini e donne nei diversi ambiti sociali. L’associazione D.i.Re è nata quindi allo scopo di costruire una azione politica nazionale che promuova azioni volte ad innescare un cambiamento culturale di trasformazione della società italiana nei riguardi della violenza maschile sulle donne. Del genere maschile contro il genere femminile, senza eccezioni. L’associazione ha anche redatto una “Carta della Rete Nazionale dei Centri antiviolenza e delle Case delle donne“, un documento politico, e lo statuto. Oggi raccoglie in un unico progetto politico 80 Centri Antiviolenza e le cosiddette “Case delle Donne”, autonominandosi detentrice di saperi e studi sul tema della violenza alle donne dopo avere accolto migliaia di donne ed averle aiutate a conquistare la libertà (dall’uomo). Un perfetto esempio di costruzione di una fortificazione antiuomo di clausura contro la collaborazione tra i sessi.
La menata delle associazioni di tal fatta è sempre più o meno simile: il “Contratto di governo” desta in loro particolare preoccupazione per il metodo che esclude evidentemente le associazioni di esclusivismo femminista come interlocutrici privilegiate e come uniche portatrici dei diritti fondamentali delle donne. Ovvero esclude l’associazione D.i.Re nel parlare, a sproposito secondo essa, di Diritto di Famiglia. Ancora una volta appare esilarante il doppio salto mortale con l’asta per cui secondo la associazioni femministe si passa disinvoltamente da reati da codice penale riguardanti una infima minoranza di soggetti, a libertà e diritti delle donne, per atterrare a temi del diritto di famiglia applicato a milioni di coppie separate o divorziate e con figli minori. Le proposte contenute nel contratto di governo Lega-M5s sono infatti definite altamente pericolose per quanto riguarda la tutela delle donne vittime di violenza, in quanto non dichiara la violenza maschile sulle donne se non (pensa un po’) in ottica repressiva e securitaria, con richieste di inasprimento pene e di eliminazione del rito abbreviato per i reati più gravi (sic!). Il che evidentemente non basta alle gentili signore di D.i.Re. Seguono alcuni bla bla bla sulle donne che devono essere ascoltate e alle quali serve il riconoscimento della violenza in generale dell’uomo, e il rispetto (della sua parola, soprattutto se sostenuta da associazioni antiviolenza) in tutti gli ambiti giudiziari.
A decorare infine la condanna del famigerato programma di governo, si cita la solita Convenzione di Istanbul, con la quale sarebbe in contrasto (nientemenoche!) il principio di eguaglianza dei genitori. Contrasterebbe poi tale convenzione, al solito, il principio della mediazione obbligatoria, vietata nei casi di violenza, (art. 48). Il che la dice lunga sui natali del testo stilato, che ha visto come associazione consultata per l’Italia chi? Indovinate un po’! Ma … D.i.Re., ovviamente! Mentre specialista estensiva del testo della Convenzione per l’Italia, è stata niente meno che l’esperta di microfinanza e cooperative per l’accesso al microcredito di donne del terzo mondo, Simona Lanzoni. Convenzione ratificata, tra gli altri, da Turchia, Albania, Portogallo, Montenegro, Italia, Bosnia- Herzegovina, Austria, Principato di Monaco, Serbia. I paesi che contano, insomma…
La previsione dell’obbligatorietà della mediazione impedirebbe dunque, secondo D.i.Re, la libertà di accedere alla giustizia e il diritto di ricevere una decisione giudiziale, in contrasto anche con le previsioni della CEDAW (altra convenzione ONU). Ciò che significa, in soldoni, che da parte femminile la mediazione può essere rifiutata sempre e comunque, bastando affermare di essere vittima di violenza fisica, anche senza diagnosi dimostrativa, o violenza psicologica o economica da parte dell’ex. Nella ideologia trasmessa al Presidente della Repubblica, appare poi che:
L’imposizione dell’equilibrio tra le figure genitoriali e il principio della bigenitorialità, come afferma Di.Re., è inaccettabile nei casi di violenza, in cui si trasforma semplicemente in uno strumento per perpetuare il controllo e la soggezione della donna.
L’arroganza di tali associazioni nello stabilire a priori e con proprio giudizio cosa sia da classificare come violenza e cosa sia semplicemente la rottura di un equilibrio relazionale che porta alla separazione, è incredibile. Mai vengono poi ribaltate le esternazioni così definite come violenza, alla parte femminile della relazione. Esente e vergine da comportamenti incongrui. Nell’auspicare sempre e comunque una giustizia a proprio esclusivo uso e consumo, D.i.Re. ha l’ardire di voler stabilire a priori che i minori hanno subito violenza diretta o abbiano assistito alla violenza agita dal padre nei confronti della madre, cioè sempre; minori che hanno immediata necessità di essere tutelati, diversificando la loro relazione con le due figure genitoriali; niente figli ai padri accusati di violenza; chissà che i più non esplodano del tutto tirando giù la maschera! Infatti tali minori sicuramente dovranno evitare di ritornare presso un padre bollato a priori come violento ove potrebbero subire nuove forme di violenza. Afferma poi D.i.Re. che:
l’art. 31 della Convenzione di Istanbul prevede che nello stabilire i diritti di visita e custodia dei figli si debba tener conto della violenza, tutelando anche l’incolumità della madre. Ciò fino al punto di poter dichiarare la decadenza dalla responsabilità genitoriale (art. 45 C.I.) se tale incolumità o la sicurezza della donna non possano essere garantite diversamente.
E’ dunque la ex moglie compagna madre in pratica che stabilisce, con le sue dichiarazioni sulla violenza subita, di qualunque tipo ella ritenga, oltre che ad innescare immediati provvedimenti giudiziari e processi penali, le modalità o meno di quel diritto, ovviamente definito “di visita”, da parte paterna, la sua modalità protetta, la decadenza genitoriale del suo ex.
“L’alienazione parentale” non esiste ma è un concetto che si presta ad essere strumentalizzato dall’autore della violenza, e si pone in totale contrasto con le norme sovranazionali.
L’associazione D.i.Re quindi vigila ed è attenta al rispetto a suo dire delle convenzioni internazionali, delle norme di diritto interno e della Costituzione. “Grande Fratello” delle relazioni tra i sessi nella nostra nazione, in tale veste scrive nientemeno che al Presidente della Repubblica, con la massima disinvoltura, superando ogni meccanismo già democraticamente posto in essere, nel rispetto della Costituzione, per la formazione finalmente del nuovo governo; e sottolineando che:
a) Il contratto di programma Lega-M5s è contrario alla Costituzione e non è stato sottoposto al Parlamento (dimenticando che ha avuto la piena fiducia dello stesso).
b) Manca qualunque riferimento ai dispositivi (finanziamenti ai centri antiviolenza) di recupero di donne vittime di violenza.
c) Pone una pericolosa equiparazione delle figure genitoriali.
d) Lede i diritti di donne, bambini e (dulcis in fundo) dei migranti.
E’ del tutto inutile commentare affermazioni di ipocrito sostegno ai deboli, quando tale sostegno agognato in ogni appello si estrinseca in sempre maggiori finanziamenti ad associazioni come D.i.Re, operante a larga scala tramite gli 80 centri antiviolenza gestiti e la presunzione di un sapere unico sulla violenza. Quella violenza. Solo la violenza di massa sulle donne da parte del genere maschile, genere e razza inferiore dedita all’accoppiamento animalesco e alla uccisione impunita di madri di prole. Genere da sopprimere a milioni di individui tramite misure poliziesche e carceri sterminativi come lager. Forse genere dedito anche al suicidio come fuga dalla giusta punizione.
Quello che preme sottolineare è quanto, nel programma tutto politico, e quindi apertamente di ricerca del potere tramite consenso, le associazioni femministe sparino ad alzo zero a tutti i consessi nazionali e internazionali le loro citazioni al di fuori della realtà statistica, sociale, umana, e legale, e di puro totalitarismo in chiave antirappresentanza del maschile e pro potere al genere femminile ad uso nazifemminista e razzista. Rappresentanza all’ONU, nelle Convenzioni internazionali, nelle leggi nazionali, nelle misure predisposte dalle istituzioni e dagli enti locali, mettendo in difficoltà ed orientando capi di stato, parlamenti, media e poteri economici, che ricordano solo una organizzazione storicamente capace di tanto. Si chiama “Massoneria”, e la sua storia mondiale è nota.
Cari papà e maschietti, non basta una frasetta che faccia capolino in un programma di governo sul nascere, e mai più citata, per dichiararsi soddisfatti. Prendiamo esempio dal nemico, ponendo in campo ben diverse capacità organizzative, politiche e logiche, e rendiamoci conto della criminalizzazione ancora imperante della metà del genere umano che, contrariamente all’altra metà del cielo, come Mao Tse Tung definiva la donna, si mostra come la metà che tiene i piedi ancora sulla terra, prima che sottoterra, e dedita ad allevarvi con diritto a vivere le generazioni che li succederanno.
La speculazione politica sui 40-50 casi di insani omicidi-suicidi che ci riporta la cronaca nell’ambito delle unioni di coppia, criminalizzando il genere maschile, semmai dimostrano il falso obiettivo di trentennali battaglie nazifemministe. Ignorando i diritti umani di eguaglianza tra i sessi, e il diritto di ogni denunciato ad un giusto processo, solo strumento che può definire con una certa approssimazione di probabilità la sussistenza o meno di reati, e non certo le affermazioni di parte. Si presume l’innocenza, e si condannano i colpevoli, che non necessariamente non sono padri affidabili, peraltro anche loro depositari di diritti di controdenuncia e denunce per calunnia.
Quella presunzione di innocenza di cui parliamo è stata sancita anche da una recente direttiva dell’Unione europea (2016/343/UE) attuata il 1 giugno 2018, “recependo” indicazioni provenienti dalla giurisprudenza EDU, che sembrano ormai attestare un’interpretazione estensiva della presunzione di innocenza. Garanzia destinata ad operare non soltanto sul piano processuale a diritto della personalità, ovvero diritto a non essere presentato come colpevole prima che la responsabilità sia stata legalmente accertata. Quindi non dai media, non dalla parte che si costituisce come civile alla richiesta di risarcimenti, non dall’associazione femminista di turno schiamazzante nelle sedi istituzionali. Ma dalla legge legalmente accertata e applicata. Legalmente accertata significa essere stato giudicato colpevole in tre gradi di giudizio. E Dio la mandi buona nella scelta del giudice! Ma fino ad allora, animo in pace. Il padre, e gli uomini, godono degli stessi diritti e doveri dell’altro genitore, e i figli hanno diritto all’equilibrata educazione tramite frequentazione paritaria dei genitori, e assegni ridotti all’indispensabile o annullati. Un principio così elementare che neanche un cervello di gallina potrebbe rifiutarlo, e che certo può essere contestato solo in forza di un disegno politico di assalto alla diligenza del potere, di una infima parte del genere umano di genere femminile, non di tutto il genere femminile, ovviamente. Solo di chi corre al potere. Infatti, nella competizione in essere, le donne, tutte, se lo scordino di partecipare in massa alla spartizione del grosso del bottino, appannaggio di associazioni femministe estese territorialmente e burocraticamente, e politicamente schierate con il potere. Le altre, le briciole degli assegni.
L’espediente tutto azzeccagarbuglistico di estrarre a casaccio dalle leggi, convenzioni, dalla Costituzione italiana, etc., solo le parti che meglio si prestano a storture interpretative in senso femmista, al punto da mischiare la Convenzione di Instanbul col diritto di famiglia, che riguarda invece l’ambito civile e di massa delle separazioni, e negando ogni principio di uguaglianza genitoriale tramite il patrocinio femminista di ogni separazione, resa ab iure sempre e comunque una fuga dalla violenza, appare un delirio psicopatologico allo stato puro. Espediente mediatico è poi il colpire con missive minatorie le alte istituzioni, per mettere sull’avviso il più basso popolo di quali poteri stiamo sfidando. Il diniego feroce delle associazioni femministe a un semplice confronto tra le parti in separazione, come nella mediazione, magari in assenza di condanne passate in giudicato da ambedue le parti, che invece ben potrebbe contribuire al chiarimento di fatti, personalità, psicopatologie in ambedue le figure genitoriali, svelando eventuali tendenze a simulazione e false accuse, è altamente rivelatoria della strategia da sterminio di massa delle relazioni tra i sessi.
Tale opposizione alla giusta mediazione, che è invece da rendere obbligatoria, soprattutto in presenza di denunce di sconosciuto esito da ambedue le parti, si pone come il classico strumento di ostacolo all’accertamento della verità e realtà separativa. Ci rendiamo conto che il mercato dell’antiviolenza di genere va protetto, con misure sanzionistiche a priori. Ma … est modus in rebus! Anche se ne va dell’esistenza stessa di un femminismo estremista messo in pericolo da un coinvolgimento collaborativo dei generi nell’interesse dei minori. Minori di cui le associazioni in parola evidentemente si impipano, prevalendo il privilegio delle loro assistite e garantite separande. Meditate padri!
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