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E poi ti imbatti in articoli di due miseri capoversi, pubblicati da due o tre testate, spesso non firmati, e ti cadono le braccia a terra, ripensi al tempo speso a scrivere articoli sul blog, a monitorare il “conteggio infame“, perché è importante sottolineare come la violenza non abbia genere, che non si tratta di tragedie perché le tragedie avvengono per caso per disgrazia appunto, le donne che odiano i più deboli, anziani o figli, no, non sono un caso. Sono il risultato di una società malata di un femminismo patologico e nemica di valori come la stabilità, la famiglia, il buon senso.
Mi rivolgo a voi, Chiara Sarritzu e Nadia Somma, in rappresentanza di quelle come voi, quasi una lettera aperta, una discussione rispettosa della vostra sensibilità sull’argomento (ognuno è libero di avere una sua idea) ma anche accesa sul perché un’assassina per voi non è degna di avere le prime pagine, l’onta e la totale negazione di ogni comprensione umana, com’è invece accade per gli uomini, ultimo Fausto Filippone, su cui avete infierito come implacabili kapo (e insieme a lui anche su colleghe che hanno cercato di considerare gli aspetti umani della vicenda). Ho raccontato per anni di uomini incastrati da false accuse, di padri alienati e portati alla miseria, mi chiedo che c’entri la madre che a Cecchina ha sgozzato la figlia, per poi suicidarsi, con i diritti delle donne, in particolare con il diritto a venire ignorata nella narrazione comune, quasi una forma di assoluzione nell’oblio. Vi chiedo perché tutta questa mancanza di enfasi, questo insabbiamento verso una donna che ha ammazzato la figlia, la quale aveva la sola colpa di non andare d’accordo con la sua carnefice. E la vittima? Perché per lei non sento compassione leggendo i pochi scarsi articoli che raccontano la vicenda? Non è una polemica sul nulla la mia.
Vi scrivo perché sono preoccupato. Il vostro silenzio mi ha scosso, terrorizzato. Sapete cosa faccio quando scrivo di argomenti così delicati? Mi chiedo se sono abbastanza sensibile da tenere conto dei mutevoli aspetti della natura umana. Non pretendo nelle mie riflessioni di saper riconoscere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, su vicende che non conosco in prima persona. Il messaggio che arriva forte e chiaro constatando il vostro (e non solo vostro) silenzio è che “poverina forse era in crisi, era depressa, aveva dei problemi”, impazzita da una vita difficile (e forse il fatto che fosse extracomunitaria la rende ancora immune dalle vostre analisi ideologiche) e che alla fine ha deciso di farla finita perché “poverina”, sempre lei, (non la figlia) si era sentita in colpa.
Perché da donne non provate empatia per la vittima, anch’essa donna per altro, perché il vostro silenzio per l’ennesima donna che uccide un soggetto debole? Cerco e ricerco nei siti femministi parole di condanna feroce per la madre, le stesse riservate a Filippone, e di umana pietà per la figlia scannata dal genitore, e prego senza avere fede che ogni adolescente femmina noti questa vostra vergognosa latitanza. Vorrei che i giovani che leggono questo blog e che incontro nelle presentazioni del libro, a cui insegno come leggere le notizie, quelle poche che vengono pubblicate, sulla violenza agita dalle donne senza cadere nella trappola del “non se ne parla, quindi non esiste”, imparassero che una donna che lotta è un’altra cosa. Che le battaglie non sono quelle che portano a uccidere una ragazzina. Che il fatto che l’autrice del delitto sia una donna non trasforma l’assassina in una innocente implicita, visto che non se ne parla negli stessi termini di condanna riservati agli uomini (anzi in pratica non se ne parla proprio).
Attendo una vostra risposta, sperando di arrivare alla stessa conclusione. Non si archivia come se nulla fosse una donna che uccide una figlia. L’empatia è una cosa seria. E la battaglia contro la violenza in generale è una guerra che tutti noi dobbiamo combattere insieme, soprattutto sui giornali.
Nota: fin qui il presente articolo non è farina del mio sacco. E’ una replica quasi esatta, invertita nei contenuti, dell’articolo che Chiara Sarritzu ha scritto per criticare la collega Marina Corradi, che su Avvenire ha cercato di spendere qualche parola sugli aspetti più profondi della tragedia umana di Fausto Filippone, l’uomo del cavalcavia di Chieti. Un articolo su cui l’omologa della Sarritzu, Nadia Somma, ha poi messo il carico su “Il Fatto Quotidiano”.
Constatato che poche e scarne parole cronachistiche e nessuna analisi microscopica e di dettaglio vengono dedicate ai fatti di Cecchina, con questo articolo rigiro alle due femministe militanti, e per loro tramite a tutto l’apparato femminocentrico nazionale, gli stessi identici concetti. Non so se questo mio pezzo gli arriverà mai. Lo spero. Sarei curioso di vedere come si gestiscono il loro proverbiale doppio standard.
Vorrei aggiungere ora alcuni elementi non irrilevanti nella storia di Cecchina. La ragazza uccisa, secondo gli approfondimenti di RomaToday (unico quotidiano ad andare a fondo alla storia, e dunque da applaudire), era una ragazza di valore, studiosa, per di più aspirante giornalista, cosa che dovrebbe più che mai mobilitare il giornalismo complice del femminazismo contemporaneo. Che invece tace colpevolmente. Non solo, la vittima, Yasmine, in precedenza era stata ricoverata per le botte ricevute dalla madre, e aveva segnalato agli operatori che, con quella madre, la sua vita era a rischio. Quegli operatori, addestrati a denunciare subito se una donna sostiene di aver subito violenze da un uomo, non hanno mosso un dito. Forse perché ad agire violenza era una donna (la madre), quindi va tutto bene? Pregressi del genere chiamano fortemente le coscienze nazionali a una riflessione profonda sul punto a cui stiamo arrivando con questa predominanza dell’infondata ideologia femminocentrica e con le sue applicazioni nella realtà delle cose. Credo di poter dire che Yasmine, la cui memoria non viene “onorata” da nessuna parte in nessun conteggio riservato ai “femminicidi”, sia una delle tante vittime di questo clima. Anche per questo, oltre che per tutto il resto, dovrebbe assurgere a simbolo di una lotta che deve, nel più breve tempo possibile, porre una pietra tombale su ciò che sta accadendo, da #MeToo in giù.
Per la cronaca, a proposito di conteggio infame, l’assassina di Yasmine, sua madre, di mestiere faceva la baby-sitter (bambini) e la badante (anziani). Fiuu… per stavolta figli e nonni l’hanno scampata…
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