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Non molto tempo fa ho fatto un appello affinché nessuno andasse più sui blog o sui siti dei quotidiani a leggere le sciocchezze che femministe e femministi scrivono per criminalizzare l’uomo. Ancora più importante, esortavo a non commentare, a non scendere in discussioni sotto agli articoli. Motivo: si crea traffico web, che il quotidiano usa per vendere spazi agli inserzionisti e così pagare gentaglia che continua a demonizzare il “maschio” in quanto tale.
Qualcuno ha definito quel mio appello come un po’ “visionario”. Molti mi chiedono e si chiedono perché i media mainstream non parlino di questo blog o di altri simili, perché io o altri come me non vengano mai invitati ai dibattiti in TV. Bene, ho scoperto di non essere stato un visionario. Lo sapevo già, in realtà, ma ne ho avuto certezza dopo aver letto questo articolo sul quotidiano online “The German Eye” (qui la traduzione di Giuseppe Iraso). L’autore, William F. Smyth, è un esperto di comunicazioni e “online marketing” di area anglosassone, dunque uno molto più del mestiere di me. Ho cercato con cura online e non è un attivista dei diritti maschili o membro di qualche organizzazione sciovinista, è bene specificarlo. E’ un tecnico di settore. E ciò che dice nel suo articolo è semplicemente cruciale. Se non è la spiegazione di tutto, poco ci manca.
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Tutto parte dalla sorprendente elezione di Trump. I media mondiali erano schierati per Clinton, eppure il popolo americano non si è lasciato manipolare. Per il circuito mediatico si è trattato di uno shock che ha scosso un sistema di interessi interconnessi imperniati su alcune tematiche di cui il neo-presidente non faceva sicuramente parte. Tra queste tematiche-chiave della manipolazione e del business mediatico, Smyth si sofferma su quella che coinvolge uomini e donne, dicendo che il target demografico delle aziende che si affidano alla pubblicità è composto essenzialmente da donne. Questo perché l’80% degli acquisti a livello mondiale viene fatto proprio dalle donne. Per questo moltissime pubblicità, anche di prodotti indirizzati agli uomini, si rivolgono alla componente femminile della famiglia, quella che nella maggior parte dei casi gestisce i cordoni della borsa.
In un’epoca dove i giornali cartacei vegetano in coma irreversibile e le loro versioni online stentano a sopravvivere, l’unico modo per fare introiti è dunque produrre notizie che attirino lettrici. In questo modo essi saranno attrattivi per le aziende che vogliono pagare un’inserzione per il proprio prodotto. Ma come fanno i media di massa a piegare la propria linea editoriale verso un target demografico prevalentemente femminile? “La risposta è: feroce manipolazione”, dice Smyth. E per dimostrarlo porta alcuni fatti. Oltre a determinare l’80% degli acquisti su scala mondiale, le donne, dice Smyth, “posseggono un ammontare sproporzionato di ricchezza, se paragonato a quanto guadagnano. Negli Stati Uniti, ad esempio, le donne posseggono il 60% della ricchezza, sebbene ne guadagnino soltanto il 40% con il loro lavoro salariato o autonomo”. Alcuni report americani hanno previsto che a partire dal 2020 le donne spenderanno a livello mondiale 28 miliardi di dollari, pur guadagnandone solo 18. “Si può facilmente capire da dove arriveranno i 10 miliardi di differenza”, commenta Smyth laconico.
Altri due fatti: quando si trovano in posizioni di potere, le donne sono 4-5 volte più portate a discriminare in base al genere di quanto non lo siano gli uomini. Cioè: a fronte di un uomo e una donna ugualmente qualificati, un boss di sesso femminile è 4-5 volte più probabile che scelga una donna di quanto un boss uomo sceglierebbe un uomo. A riprova c’è il nuovo CEO (donna) di Yahoo, che in 18 mesi ha ribaltato il rapporto maschi/femmine (da 80/20 a 20/80) in azienda, generando una montagna di cause di lavoro per sessismo e ulteriori perdite per un marchio già in crisi di suo. Non solo: citando vari studi, Smyth nota che le donne amano vedere l’uomo fallire. Per questo sono più propense a comprare prodotti la cui pubblicità dipinge l’uomo in modo negativo: è qualcosa che genera in loro benessere psicologico e questo spinge pubblicitari e produttori a insistere su quel tipo di rappresentazione.
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I media non si sottraggono a questo meccanismo e fanno a gara a chi raschia di più il barile nella ricerca di metodi per sollecitare l’autostima femminile a spese degli uomini. La cancellazione dello stigma dell’obesità, il paygap e tutte le altre tematiche ben note sono solo ami per far scattare un astuto clickbait, che diventa potentissimo quando alimentato dai commenti degli utenti, specie se litigano online. “I media di massa”, dice Smyth, “pubblicheranno qualunque cosa che insegni alle donne di essere vittime e oppresse” (qui un esempio nostrano). Anzi esse diventeranno presto dipendenti da questa comunicazione che ha il meraviglioso effetto di deresponsabilizzarle dalle decisioni e dagli atteggiamenti improduttivi che hanno preso nella loro vita”. Insomma, non sono magre, non hanno una carriera sfolgorante, non guadagnano abbastanza, non sono realizzate per colpa di qualcos’altro che non loro stesse. Questo gli suggerisce la manipolazione della comunicazione indotta dalla loro soverchiante propensione all’acquisto connessa al bisogno dei media di sopravvivere, a sua volta connessa alla necessità delle aziende di “piazzare” i propri prodotti sul target giusto.
E’ questo meccanismo che getta moltissime tra le braccia del femminismo radicale, spacciato per battaglia per l’equità, in realtà narrazione tossica mirante a ottenere privilegi. La narrazione dell’uomo cattivo e della donna povera vittima ha una tale potenza deresponsabilizzante da creare dipendenza, anche grazie ad alcune parole-chiave (“patriarcato”, “femminicidio” e così via). In merito a questa dipendenza, le parole di Smyth sono agghiaccianti. Essa induce le donne a “leggere o guardare sempre più, ogni giorno, materiale del genere, capace di spiegare perché la colpa delle loro mancanze e dei loro fallimenti è degli uomini, e che la società ha ereditato un atteggiamento discriminatorio verso le donne e favorevole agli uomini (il che è dimostrato come falso). Alla fine di tutto restano solo donne immiserite, uomini afflitti, ma pubblicitari felici di poter efficacemente raggiungere il target con la maggiore propensione alla spesa”. Sul lungo termine l’esito è la distruzione delle capacità relazionali tra uomini e donne.
In un circuito del genere non può non infilarsi anche la politica, ovviamente. Che trae ampio beneficio dai meccanismi spiegati sopra, alleandosi con i media, a loro volta convinti, per lo meno fino all’elezione di Trump, di poter manipolare la democrazia. Secondo le statistiche, la maggioranza degli elettori in tutti i paesi occidentali è di sesso femminile ed è il voto femminile quello più fluttuante. Per i politici è proprio quello l’elettorato da conquistare ed è lì il motivo per cui molti, diciamo pure tutti, cavalcano l’onda della vittimizzazione femminile e si guardano bene dal criticare le manipolazioni del femminismo contemporaneo. Una prova viene dal passato non lontano: Margaret Thatcher vinse le sue seconde elezioni promettendo screening gratuiti del servizio sanitario pubblico inglese per la prevenzione del cancro al seno. E vinse a mani basse.
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C’è speranza di uscire da questa trappola? Secondo Smyth sì e indirettamente il suo suggerimento è lo stesso che ho dato io poco tempo fa. L’elezione di Trump alla Casa Bianca ha denudato il re: ha mostrato ai media di massa che la loro manipolazione si vede, eccome se si vede. E oltre a un certo limite le persone arrivano a saturazione, non ci cascano più. La svolta ci sarà, se ci sarà, quando questa dinamica verrà compresa dai pubblicitari, e una migliore comprensione da parte loro arriverà anche dal nostro comportamento online, se eviteremo di generare traffico per i contenuti tossici messi lì apposta. In conclusione, non posso che far mie le parole di chiusura di Smyth.
“Le donne devono prendere coscienza dello sfruttamento che i media e i politici fanno delle loro latenti attitudini anti-maschili. E’ arrivato il momento che esse silenzino la retorica dell’odio femminista e tornino a promuovere una vera equità. Il problema però non è il femminismo, che è solo un sintomo. Il problema è la scarsa empatia delle donne e della società verso la sofferenza maschile. Fino a che uomini e donne non si posizioneranno assieme, l’ineguaglianza esisterà e le donne saranno oggetto di sfruttamento da parte di politici e media alla ricerca dell’elezione o di rapidi profitti”.
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