Oltre alla vicenda in sé, che seppellisce in un’onta meritata il movimento #MeToo, la questione di Asia Argento e Jimmy Bennet porta con sé un’ulteriore conseguenza positiva: come accade quando una nave affonda e i primi a saltar fuori cercando una forma di salvezza sono i topi, così le diverse reazioni alla diffusione della notizia danno l’esatta cifra etica, morale e civile di quell’ampio (ed empio) movimento che da tempo ho battezzato come “Rosa Nostra”. Non che ce ne fosse bisogno: le persone di coscienza e ben informate già sapevano quanti ratti popolavano la stiva della nave. E’ comunque impressionante vederli uscire tutti allo scoperto, ognuno col proprio stile oscillante tra lo sfacciato e il nauseante.
A manifestarsi subito sono coloro che hanno preso posizione non prendendo alcuna posizione. Il riferimento è chiaramente a Boldrini: i meme si sprecano sui social, uno più esilarante dell’altro, tutti basati sulle tante foto militanti che l’attrice coinvolta in un caso di pedofilia e l’ex PresidentA hanno scattato assieme in ogni occasione possibile. Coppia fissa, erano, e l’attuale silenzio di Boldrini, anche quando sollecitata nientemeno che dal New York Times, è decisivo nel trasformare quelle immagini in buffe rappresentazioni farsesche della peggiore ipocrisia mediatico-politica in salsa femminista che tanto è andata per la maggiore finora. Si associa ai boati di silenzio l’altra pasionaria pro-Asia: Emma “pompetta” Bonino, la ripescata, talmente importante che non mi risulta sia stata interpellata da qualcuno per avere un parere sulla vicenda. Tant’è, si sta sul carro quando sembra quello del vincitore e si sguscia via quando arriva l’onta. Anche di questo è fatto il femminismo (o meglio donnismo) contemporaneo.
A esporsi ed esprimersi, invece, tra i ratti che ora scappano impazziti, sono tante, con le modalità più diversificate, alcune patetiche, altre ridicole, altre gravissime. Alcune paladine “giovani” del femminazismo come Michela Murgia si affidano a supercazzole olimpioniche e alla solita sfilza di hashtag (#slutshaming, #victimblaming) che vanno su tutto, come il parmigiano, così lavandosi rapidamente e senza troppa fatica la coscienza. Altre si sbilanciano un po’ di più, come Nadia Somma che, sul Fatto Quotidiano, accetta acriticamente la versione di Asia (“non ci ho mai fatto sesso”), facendo finta che il selfie da alcova diffuso dal New York Times non esista. Accetta poi la versione del bonifico “caritatevole” dell’attrice al giovane abusato, anche qui dimenticando che i soldi erano del “fidanzato” Anthony Burdain e non di Argento, in barba al tanto odiato patriarcato e alle successive dichiarazioni di Bennett. Supera poi se stessa (ma ci vuole poco) sostenendo che ora tutti massacrano la povera Asia, e che sarebbe tutto diverso se al centro ci fosse un uomo di potere. Memoria corta, povera Nadia. Evidentemente non ricorda quanto sia stato macellato nonno Silvio qualche anno fa per un’accusa analoga.
Vuoto pneumatico, insomma, se si leggono le riflessioni delle giovani femministe, e questo non stupisce. Contenuto invece se ne trova nelle parole di quelle stagionate, e in questo senso si registra un tris di eccellente, rabbiosa e infima miserabilità mettendo in fila Lidia Ravera (67 anni), Dacia Maraini (81 anni) e Natalia Aspesi (89 anni). La prima, famosa al mondo per aver scritto il libro “Porci con le ali” (nientemeno), dice in sostanza che per affermare un principio non occorre esservi coerenti: si può essere contro le molestie sessuali, pur perpetrandole a propria volta. Attribuisce ad Argento, insomma, l’altezza filosofica di un Seneca (non de me loquor sed de virtute, non parlo di me ma della virtù), e verrebbe da chiederle subito, allora, se accetterebbe tranquillamente l’eventuale rivelazione che il Mahatma Gandhi era solito pestare a sangue chiunque gli capitasse sotto tiro. Oltre a questa stupidaggine, Ravera dice che casi come quello di Bennett sono uno su un milione, niente a che fare con le cifre a danno delle donne. La inviterei, prima di dar aria ai denti, a darsi un’occhiata ai dati dei ricoveri per violenza domestica in Liguria che ho pubblicato prima delle ferie. Infine Ravera mostra il vero volto del femminismo, che denuncia il sessismo essendo sessista all’ennesima potenza: un diciassettenne in tempesta ormonale, dice, sarà stato ben felice di farsi portare a letto da una “nave scuola” come Argento. Che è come dire: “è stata violentata perché era in minigonna”, uguale uguale. Una frase di orribile e ributtante sessismo. Ma non è sola in questo.
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Dacia Maraini infatti decide di fermarsi ai dettagli e vuole chiarire subito: “una donna non può violentare un uomo perché è sprovvista di pene”. Con quella che viene definita la decana chic del femminismo italiano si vola alto, insomma. Maraini ignora o finge di ignorare cosa siano la soggezione psicologica (Argento e Bennett pare avessero un malato rapporto tipo madre-figlio incestuosi), l’uso imposto di farmaci contro le disfunzioni erettili, le penetrazioni anali forzate e tante altre belle cose che si possono fare a un maschio mentalmente sottomesso. A margine, Maraini mostra anche di non sapere cosa sia l’invidia del pene, sebbene ne sia palesemente affetta. Inutile dire che ignora anche cosa sia giuridicamente una violenza sessuale, definita da tutti i codici a prescindere dalla penetrazione e dalla presenza di un qualsivoglia pene. Per dettagli, chiedere ai bimbi abusati dai preti cattolici: per natura non è tra le loro prerogative avere erezioni utilizzabili, eppure risultano vittime di violenza sessuale, guarda un po’. Per il resto, si rifugia in un timido complottismo e balbetta, giusto per andare sul sicuro, di “società arcaica” e dell’immancabile “femminicidio”, al posto del ben più appropriato “pedofilia”.
Prende la parola poi, dall’alto dei suoi 89 anni, Natalia Aspesi. L’età le permette di spararle grosse, e in qualche misura anche giuste. Da tempo, dice, #MeToo è morto. Vivaddio. Eppure con Asia Argento bisognerebbe, proprio ora che ce n’è bisogno, mostrare “sorellanza” e starle vicino. Lo vada a dire a Boldrini e Bonino, però, non a noi. Ancora, e con maggiore livore, la mette poi sulla tempesta ormonale del diciassettenne Bennett: “faceva un lavoro che gli aveva offerto chissà quante possibilità amatorie. Un giorno gli capita nel letto una signora famosa e bella”, dunque dove sta il problema? Vuoi mica che il ragazzo sia rimasto traumatizzato? Figuriamoci: “Per essere andato a letto con una bella signora?”, sbotta l’anziana femminista, “lo escludo, a meno che non sia gay”. Doppio sessismo carpiato con avvitamento. Una meraviglia di bassezza e di esercizio abusivo delle nefandezze di cui per mestiere da anni accusa il genere opposto al suo. Per il resto implora quelli di Sky perché non tolgano il lavoro tanto faticosamente raccattato dalla soubrette (ma chissà che mazzate aveva dato su Brizzi ai tempi…) e la butta sui social network infami e cattivi.
Silenzi imbarazzati e imbarazzanti, voli pindarici nel tentativo di giustificare il peggio attraverso la rimozione dei fatti, un bla bla sordido e raccapricciante: questi sono la cifra e la misura della radice storica e delle sue manifestazioni contemporanee del triviale e ipocrita femminismo che da tanto, troppo tempo, determina politiche, decisioni, equilibri e indirizzi delle società. Come già espresso ieri, l’auspicio è che si colga l’occasione non solo per godersi lo spettacolo della nave #MeToo che affonda, non solo per togliere di mezzo i ratti che ora escono allo scoperto cercando inutilmente salvezza, dopo aver cacato per lungo tempo su ciò che di culturalmente e socialmente buono veniva conservato nella stiva, ma anche per innescare un cambiamento, una vera rivoluzione culturale votata alla concordia tra i generi, e dunque all’equità e alla giustizia.
P.S.: in realtà ci sarebbero altri ratti di cui parlare, della cui presenza pochi si sono ancora accorti. Si tratta della peggior specie, la più spregevole. Non ne parlo qui per brevità, ma dedicherò ad essi, perché di più non meritano, una delle brevine del Minestrone del lunedì.
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