Già un paio di volte mi è capitato su queste pagine di paragonare Italia e Spagna sul tema dell’oppressione femminile a danno degli uomini. Ho sempre concluso che più o meno la situazione è simile. Poi ho visto un documentario sconosciuto qui in Italia, segnalatomi da alcuni lettori, e ho dovuto rivedere nettamente la mia opinione. In Spagna stanno molto molto peggio. E la loro situazione dura da molto più tempo che da noi, esattamente dal 2004. Da allora, i cugini iberici sono stati oggetto di un vero e proprio esperimento: imporre una legge che, oltre ad avvantaggiare una lobby specifica, violi apertamente i loro diritti umani. Sfortunatamente l’esperimento è riuscito.
Bisogna conoscere ciò che è accaduto in Spagna, non solo per mera cultura personale, ma perché quell’esperimento è direttamente connesso ad altri eventi. Primo fra tutti, la Convenzione di Istanbul, di cui la deriva spagnola è premessa: avendo dimostrato che era possibile imporre l’illegalità e normalizzarla, si è proceduto a dare una specie di “benedizione internazionale” al tutto, per permettere anche ad altri di replicarne i risultati. Non è un caso che è proprio citando quella ridicola Convenzione che il femminismo e femminocentrismo nostrano cerca, spesso riuscendoci, di imporre soprusi e letture deviate della realtà, a totale danno degli uomini e delle famiglie.
Ma soprattutto il laboratorio spagnolo di ieri ci dà una chiave di lettura dell’oggi, ed è un severo avvertimento per il domani. Lì, proprio in quella situazione, ci sono le radici del Male, che sarebbe tale anche a parti invertite, perché sradica diritti e principi giuridici che proteggono tutti. Ma gli esiti di quell’esperimento rappresentano anche il traguardo che le forze della soperchieria femminista vogliono raggiungere ovunque sia possibile. Murgia, Boldrini, Boschi, Zanardo e le altre irrazionali uterofemministe italiane sostengono che, poiché le donne sono la maggioranza, allora le quote rosa devono essere obbligatorie, allora occorre scalzare, con le buone ma soprattutto con le cattive, gli uomini dalle posizioni che indebitamente occupano. Dal sostenere questa corbelleria alla situazione spagnola il passo è brevissimo. Ed è esattamente il passo che intendono fare appena è possibile. La loro pressione in questo senso è sempre potente e altissima, con la complicità dei media, che dallo stream femminista traggono ampi vantaggi.
Nell’esperimento spagnolo ci sono le radici del #MeToo, dello strabismo mediatico, della moda della difesa aprioristica delle donne, ma anche delle anomalie che in Italia stanno distruggendo molte famiglie e molte persone, come questo blog racconta da due anni. La nostra fortuna sono le maggioranze politiche ballerine tipiche italiane. Terminato l’esperimento sotto i due governi Zapatero, il nostro paese era governato dal centro-destra, che si limitò a scimmiottarne gli esiti con la legge anti-stalking, che è concepita esattamente sul modello ideale spagnolo. Poi le cose sono trascese sotto il governo di centro-sinistra, ma meno di quanto si sarebbe voluto, forse per la resistenza delle forze cattoliche, forse per scarsa determinazione politica, ma ci si è andati pericolosamente vicini. Guardando il documentario lo si può notare, riscontrando le moltissime analogie tra noi e la Spagna, a partire dai dati delle false accuse: stessi numeri da noi oggi come da loro allora. Noi stiamo vedendo solo i primi sintomi di una patologia mortale che ancora non si è manifestata del tutto, il sistema più o meno tiene, pur se a scapito di migliaia di vittime. Quindi quella patologia forse può ancora essere fermata.
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Oggi i protagonisti iberici di quella follia sono scomparsi dalla scena politica. La legge al centro del documentario è ancora in vigore, anzi se ne sta proponendo un inasprimento, adducendo come scusa l’adattamento (ovviamente) alla Convenzione di Istanbul. E nel mondo ci sono femministe che propongono di diminuire le pene carcerarie per gli uomini accusati di stupro o violenza o maltrattamenti, ma con la possibilità di spedirli al gabbio senza prove, solo sulla parola della presunta vittima. Tutte mostruosità che già in parte si applicano con la tecnica sperimentata del #MeToo, che si fanno largo lentamente insinuandosi nell’opinione pubblica e nel vissuto comune, e che sono nate là, a Madrid e dintorni, tra il 2004 e il 2010. Invece di venire stroncate sul nascere, da lì hanno preso vita e hanno distrutto centinaia di migliaia di esistenze, incluse innumerevoli di minorenni.
E’ qualcosa che tutti, uomini e donne per bene, non dobbiamo permettere che accada, in nessun caso. Serve un “altolà” grande e corale a questa deriva. Serve un programma condiviso, pacifico e proiettato nel futuro. Che tagli fuori, nei media, nella cultura come nei tribunali, gli estremismi ciechi e le ideologie senza fondamento, basate solo sul conflitto permanente, sul desiderio di vendetta e di conquista del potere. Non riuscendoci col merito, con il lavoro e con il sudore, una minoranza pretende di scalzare e far fuori un intero genere per mezzo delle carte bollate. Il documentario sulla Spagna deve indurci tutti a dire, come una sola persona: no pasaràn.
Nota tecnica: il documentario è del 2010, realizzato dalla danese RV Production. Originariamente è in spagnolo con sottotitoli e commento in inglese. Ho sovrapposto delle “pezze” con i sottotitoli in italiano e sovraregistrato la mia voce. Il risultato qua e là è imperfetto e me ne scuso. Ritengo che comunque già così il documentario sia sufficientemente fruibile e trasmetta correttamente i suoi contenuti. Che vanno diffusi al massimo. Davvero al massimo.
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