Ah, la Svezia, patria di femminismo suprematista, gender e progressismo! La terra dove si sono inventati (e si usano davvero) pronomi neutri per combattere gli stereotipi di genere e dove la normativa femminazista è tra le più avanzate e oppressive d’Europa, insieme a quella spagnola. In pratica un’Emilia Romagna al cubo, il sogno proibito delle varie Murgia, Boldrini, Bongiorno e Spadafora. Con un brodo di coltura del genere, la politica degli affidi minorili non poteva che essere la sublimazione pratica e ideologica di quanto è accaduto a Bibbiano e di quanto accade regolarmente nel resto d’Italia. Così a un uomo di nazionalità russa vengono tolte le tre figlie (12, 6 e 4 anni) dai servizi sociali (anche lì deviati come da noi) perché perde il lavoro, mentre la madre ha un problema di depressione. Destinazione delle due bimbe: una famiglia libanese e musulmana residente in una località a 400 chilometri di distanza, dove padre e madre naturali avrebbero potuto vederle una volta alla settimana per sei ore. A nulla è servito ogni appello ai servizi sociali deviati svedesi, anzitutto per il fatto che le piccole (come la loro famiglia) sono cristiane e difficilmente si sarebbero adattate alle regole di una famiglia islamica: l’affido è stato deciso, anche contro la volontà delle piccole, e non c’è stato verso di non far partire la macchina dell’orrore.
I russi però non sono gente che sta con le mani in mano, e quel padre in particolare non se n’è stato del fascismo rosa-arcobaleno svedese. Così ha fatto ciò che ogni padre dovrebbe fare in quelle circostanze: s’è preso le bambine e se l’è portate via. E’ riparato in Polonia, dove è stato arrestato per “rapimento”, su mandato internazionale svedese, mentre tentava di rientrare in Russia via aereo. L’arresto ha svelato la vicenda e ne è scaturito un processo da cui l’uomo, di nome Denis Lisov, ha ottenuto lo status di rifugiato. Non solo: il tribunale polacco ha detto chiaro e tondo alla Svezia di aver violato i diritti umani dell’uomo e delle sue figlie, facendole di conseguenza una gigantesca leva rispetto alla richiesta di estradizione. Una leva che ha molti significati: no, non si tolgono i figli a una famiglia, tanto meno a un padre; no, le politiche di integrazione forzata, sia essa religiosa o di genere, non sono regolari, sono una violazione dei diritti umani; no, col cavolo che le tre bambine diventeranno musulmane (termine quest’ultimo intercambiabile con “femministe”, “lesbiche”, eccetera). Cresceranno con la propria famiglia, come dev’essere, senza venire divorate dal progressismo 2.0 che in Svezia, come più nel piccolo in Val D’Enza, induce interi apparati a deviare dalla tutela dei più elementari diritti umani e naturali. Il giudice, anzi la giudice che ha spedito al diavolo la Svezia da un tribunale polacco si chiama Janeta Seliga-Kaczmarek. Un plauso a lei. E l’invito a venire a lavorare in Italia al più presto.
Sostieni e diffondi la sottoscrizione solidale per i 118
contro i manifesti sessisti della Regione Lazio.

Per essere sempre aggiornato sui nuovi articoli, iscriviti alla newsletter di “Stalker sarai tu”:
Rispondi