Mi si chiede da molte parti cosa ho da dire, se ho da dire qualcosa, rispetto agli ultimi omicidi di donne avvenuti di recente, in stretta sequenza, uno a Canicattini (Sicilia) e uno a Terzigno (Napoli). Non ho dettagli, se non quelli dei media, di cui mi fido meno di zero. Quello che so di certo è che non sono “femminicidi” (categoria inesistente se non nei manuali di marketing o nella realtà a Ciudad Suarez) ma omicidi, entrambi, così parrebbe dalle ricostruzioni, volontari e premeditati. Come tali sanzionati dal Codice Penale con estrema e giustissima severità, la stessa che spero i giudici usino contro i colpevoli.
Detto questo, mi paiono rilevanti due cose soltanto. La prima è che, se nel caso di Canicattini sembra che dietro ci sia una forma evidente di arretratezza culturale (omicidio per gelosia), nel caso di Terzigno si tratta di una vicenda legata a una separazione. E vale per questo caso quanto già detto per quanto accaduto a Cisterna di Latina. La seconda è che i due fatti ora sono su tutti i giornali e siti web, e “Rosa nostra” è scatenata a chiedere provvedimenti (tutti gli uomini in carcere a prescindere?) e ovviamente più risorse per i centri antiviolenza. Il tutto mentre del suicidio di Antonio Communara, impiccatosi per la disperazione conseguente alla separazione, non parla nessuno.
Si fa a gara a chi uccide, opprime o si suicida di più? Si fa a gara a chi urla più forte che il mostro è l’altro? Ma anche no. Andiamo a vedere le cause a monte di questi fatti. Se è mancanza di cultura, se ne diffonda di più. Se è, come nel caso di Latina e di Terzigno, terrore delle ingiustizie che si subisce, in quanto uomini, quando ci si separa, si cambi andazzo, in Parlamento e nei Tribunali. Si avrà subito un crollo di omicidi di donne e di suicidi di uomini in separazione (o ridotti a fare i clochard). E mi parrebbe un risultato niente male. Certo molti non guadagnerebbero più su queste tragedie, tuttavia… O no?
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