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Qualche tempo fa sono stato al cinema e tra gli spot di anteprima mi avevano colpito le immagini del nuovo film di Woody Allen “A rainy day in New York”. A me Allen piace quasi sempre. Il suo genio talvolta si esprime sotto le aspettative, questo si sa, ma in ogni caso resta un grande cineasta. A prescindere da cosa fa o non fa con le donne, quello è irrilevante e soprattutto non mi riguarda. Se commette dei reati, quello è affare della polizia e dei giudici americani. Io sono uno spettatore e voglio godermi una bella storia raccontata bene, come lui spesso sa fare. Pare però che Amazon non voglia permetterlo né a me né a nessun altro. Ed è strano: in linea di massima i film del regista americano vendono piuttosto bene, i flop sono rari. Insomma, distribuire i suoi film ha il suo perché dal lato del business. Invece no, Amazon, che era incaricata per contratto di distribuire “A rainy day in New York”, ha stracciato l’accordo. Ed è per questo che non vedo il film di Allen nelle sale. Il regista si è ovviamente irritato e ha citato in giudizio la major che ha giustificato l’inadempienza e la connessa rinuncia al business appellandosi ad alcune dichiarazioni critiche di Allen rispetto al #MeToo e ad alcune accuse di molestie ricevute dall’attore. Paradossale ma è così: un distributore rinuncia a un business per mostrarsi coerente con la moda del momento. Sono certo che ad Amazon non freghi nulla del #MeToo e dintorni, eppure ritiene più profittevole adeguarsi, probabilmente per paura, per evitare critiche diffuse e aspre, a una occasione di fare utili. Chiaro, Amazon non ha bisogno del film di Allen per aumentare i suoi profitti, ma da qui a rinunciare all’occasione ce ne passa. Per la precisione ci passa la paura di diventare oggetto di attacchi, in questo clima di terrorismo di genere che dilaga in ogni parte di questo immiserito mondo occidentale.
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