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di Alessio Cardinale (portavoce nazionale “Adiantum” e co-fondatore “LUI – Lega degli Uomini d’Italia”) – In Italia e nel mondo coesistono, nemmeno tanto pacificamente, due femminismi. Il primo ha solide radici storiche e culturali, e fonda il proprio successo su una ordinata comunicazione e su un’editoria e filmografia intelligenti, ricche di spunti di interesse sociale, le quali hanno determinato, negli ultimi cinquant’anni, una legittima crescita delle donne all’interno dell’universo lavorativo una volta guidato esclusivamente dalle esigenze del pater familias. Si tratta di un femminismo complessivamente sano, sviluppatosi lungo una linea di solidarietà tra i generi che assicurava benessere sociale e trasmissione di valori alle generazioni a seguire, e che solo negli ultimi quindici anni ha ceduto alle pressioni della globalizzazione sacrificando parte della propria “sovranità culturale” agli interessi economici (moda e cosmetica, in particolar modo, ma non solo).
L’affermazione di questa prima tipologia di femminismo, che ha permesso alle donne di raggiungere le più alte vette delle Istituzioni politiche mondiali e dell’Industria, era sorretta da idee e rivendicazioni legittime, che tutti oggi riconoscono come necessarie e irrinunciabili. Il secondo femminismo è, invece, l’aberrazione del primo, l’insieme dei suoi scarti più putridi, l’ala estrema che, al contrario della prima, si nutre della peggiore ideologia di genere e, riuscita ad occupare militarmente quasi tutte le redazioni dei media e buona parte dei partiti della ex sinistra, si impegna in una spasmodica ricerca di denaro statale, conducendo una guerra santa contro gli uomini per mezzo della diffusione di false informazioni, ripetute all’infinito, diventate tra le persone semplici mezze verità.
In questo scenario di guerra, i falsi fenomeni come la violenza maschile, il gap salariale ed il cosiddetto “femminicidio” (che fortunatamente Word segnala ancora come errore di trascrizione e te lo segna in rosso) vengono sparati come munizioni pesanti da giornalisti compiacenti, soldatini ben allineati dal proprio editore, con dispregio della loro indipendenza. In un simile contesto, è chiaro che gli argini del buon senso vengono superati, e l’inganno tracima come un fiume in piena sul territorio della ragionevolezza, creando dei “mostri” giuridici (tra tutti: la legge sulla composizione delle commissioni Pari Opportunità, le cosiddette quote rosa, la Convenzione di Instanbul) e, sul piano dei social network, iniziative ingannevoli che imperversano alla massima potenza. Una di queste è rappresentata, senza alcun dubbio, da una sedicente associazione (della quale non v’è pubblicamente un recapito né traccia di uno statuto) che si fa chiamare “Padri in Movimento”. Ufficialmente, è capitanata da tale Jakub Stanislav Golebiewski, ed è molto attiva su Facebook, dove all’inizio aveva raccolto un gran numero di padri desiderosi, come sempre, di confrontarsi e trovare soluzioni alla ancora dilagante discriminazione dei tribunali.
Una sedicente associazione che si fa chiamare “Padri in Movimento”.
All’inizio fu Pillon. Gli inganni, si sa, prima o poi mostrano la loro vera faccia. In questo caso, si tratta di un’immagine, che ritrae Golebiewski in una foto di gruppo scattata insieme al senatore Pillon, dopo una delle riunioni in cui il parlamentare aveva presentato i principi del “famigerato” DDL 735, dopo il deposito del testo in Senato.
Alla luce dell’attacco ad oltranza mosso dalla sua associazione (sempre che esista davvero), ci si chiede: ma cosa ci faceva lì Jakub, con una espressione così sorridente e soddisfatta? E’ davvero un mistero, a meno che non si voglia pensare che si trovasse in quel consesso al solo scopo di reperire informazioni utili alla “battaglia”, oppure che sia semplicemente uno dei tanti voltagabbana presenti in questo strano mondo. La verità viene sempre a galla, dicevamo, e nel caso di “Padri In Movimento” essa è venuta fuori quasi subito (giusto il tempo di arraffare qualche centinaio di like da parte di ignari papà). Infatti, nel sito che fa riferimento a PIM, le parole chiave scritte per facilitare gli algoritmi dei motori di ricerca sono: padri, madri, separazione, figli, violenza, femminicidi, divorzio. Ebbene, ci si chiede per quale motivo nel sito ufficiale del “movimento innovativo che opera per la tutela della bigenitorialità nelle coppie separate” si debbano inserire, con una evidente forzatura, i termini “violenza” e “femminicidio”, che con la bigenitorialità non hanno niente a che vedere.
Il sospetto che il nostro buon Jakub sia, in realtà, ampiamente manovrato da un nutrito gruppo di femministe della seconda specie (quella che inganna) troverebbe fondamento in un altro sito gemello, denominato “Madri in Movimento”, il quale ha un codice sorgente html in buona parte identico a quello di “Padri in Movimento” e, facendo un semplice ricerca, ne condivide anche il numero di telefono ed il logo della pagina Facebook. Eloquenti i post condivisi tra le due organizzazioni, dove si pubblicano solo i fatti di violenza tra coniugi (solo al maschile, naturalmente) e dove non c’è traccia di contenuti sulla bigenitorialità e sulla cura dei figli. In perenne definizione, poi, il loro misterioso progetto di legge denominato pomposamente “figli al centro”, che appare come un ulteriore specchietto per le allodole. Addirittura esilarante, poi, la dichiarazione d’intenti, associata a questo inesistente disegno di legge, contenuta nella pagina Facebook di madri in movimento, laddove si scrive che “…assieme ai padri ci sono anche le madri in movimento: Nessuno meglio di loro sa esattamente di cosa veramente necessitano i loro figli e quali strumenti di welfare dovrebbero essere introdotti…”. In pratica: figli, welfare, soldi.
In perenne definizione, poi, il loro misterioso progetto di legge denominato pomposamente “figli al centro”.
Non è superfluo sottolineare che, tra i commenti presenti nella pagina Facebook di “Madri in Movimento” ci siano quelli di una nostra vecchia conoscenza, tale Nadia Somma, sacerdotessa dell’antiviolenza e nota esponente di quella ideologia di genere che alimenta ogni giorno lo scontro culturale tra uomini e donne, per finalità ancora tutte da chiarire. Non è un caso, pertanto, che la stessa Somma abbia spacciato, in un articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano, la sedicente associazione “Padri in Movimento” come autorevole esponente del gruppo (inesistente) di padri separati che si porrebbero in contrasto verso il DDL Pillon, usando lo stesso stile ingannevole dei suoi amati “padri contro”. Di solito è meglio evitare di parlare di personaggi secondari, perché c’è sempre il rischio di dare loro eccessiva notorietà. Nel caso però di Padri e Madri in Movimento, l’inganno perpetrato ai danni di ignari genitori, soprattutto padri, è tale da dover agire per descrivere correttamente i fatti. E mentre attendiamo di scoprire cosa abbia allontanato il sorriso del buon Jakub dalla schiera dei sostenitori del DDL 735, ci godiamo l’immagine glamour del sito di “Madri in Movimento”, in attesa del prossimo spot per acconciatori.
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