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Lunedì 7 gennaio. Le agenzie di stampa diramano una notizia: a Grosseto una ragazza di 25 anni è scampata a un tentativo di stupro da parte di due giovani africani. I Carabinieri indagano e la notizia si diffonde subito. Ovvio: coniuga due temi caldi, violenza sulle donne e immigrazione. Giovedì 10 gennaio. Le agenzie di stampa diramano la presa di posizione della “rete delle donne” di Grosseto. In un comunicato congiunto, i centri antiviolenza e le associazioni “Centro Donna”, “Centro antiviolenza Olympia De Gouges”, “Non una di meno” e “Raccontincontri – La libreria delle Ragazze” affermano: “Prima di tutto la vogliamo accogliere in un abbraccio simbolico. Ci piacerebbe poterlo fare direttamente, farle sentire la nostra vicinanza e la forza che le donne nel loro cammino storico hanno e stanno costruendo insieme“.
La rete delle donne grossetana però non si limita a un abbraccio virtuale per la vittima. Dal fattaccio trae conclusioni certe e molto gravi. “Episodi come questo ed altri“, dice la loro nota, “ci fanno risentire sulla pelle quel destino di “preda”, persino di tenzoni amorose, di oggetto di puro possesso che il patriarcato ha preteso di imporci e da cui ci siamo liberate. La violenza maschile sulle donne, nelle strade e tanto meno nelle case, non si argina con le sole forze dell’ordine“. E’ un chiaro richiamo alla necessità che il ruolo delle associazioni di donne e dei centri antiviolenza, ossia di loro stesse, sia maggiormente valorizzato a fronte di una violenza maschile dilagante nel nostro paese. Ma non finisce qui.
“Evidentemente“, continua la nota, virando sulla politica, “è più facile prendere voti sbandierando il vessillo della sicurezza che governare mantenendo le promesse. E stendiamo un velo pietoso sulle proposte di ronde dei vari gruppi fascistoidi che nella violenza hanno la loro matrice originaria“. Insomma le associazioni non nascondono la loro vena antigovernativa e di sinistra. In chiusura di nota c’è la rivendicazione: “ciò detto, non possiamo limitarci a redigere il bollettino periodico dei femminicidi e delle violenze sulle donne. Come associazioni di donne e centri antiviolenza da anni profondiamo il nostro impegno per contrastare la cultura del patriarcato e continueremo a farlo. Nessun altro soggetto, istituzionale o no, passerà dalle parole ai fatti?“.
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Toni forti, toni sentiti. La vicenda della 25enne ha mosso le corde più profonde delle attiviste antiviolenza di Grosseto. La partecipazione emotiva e militante è piena, le ispira a mostrarsi prima umane, poi politicamente avverse al corso attuale e infine fieramente orgogliose della propria lotta contro quel fenomeno definito con convinzione “patriarcato”, quell’orrore contestuale che giustifica gli stupri, sminuisce i femminicidi, sottostima la violenza sulle donne, rendendo indispensabile la presenza di associazioni e centri antiviolenza come loro. Se non che: sabato 12 gennaio, la 25enne ammette di essersi inventata tutto. Non spiega il motivo davanti agli inquirenti e a tutto l’imponente apparato investigativo che si era mobilitato per pescare i due stupratori inesistenti. Di fatto, la giovane ha avanzato false accuse e finisce indagata per procurato allarme (reato da poco, non si capisce perché non simulazione di reato, ben più grave; pussy-pass anche in questo caso?).
Le parole del Sindaco di Grosseto a quel punto sono di sollievo, ma anche didascaliche. Si dice infatti dispiaciuto “per coloro che hanno subito cavalcato la notizia per svariati motivi personali, senza alcuna certezza e con indagini ancora in corso, contribuendo a generare un clima di paura”. A chi si riferisce? Non certo ai molti che hanno colto l’occasione, specie sul web, per dare addosso agli immigrati. Antonfrancesco Vivarelli Colonna, sindaco di Grosseto, si regge su una maggioranza di centro-destra, Lega inclusa, quindi è difficile che spari sulla propria compagine. Tra i bersagli non ne resta che uno: quei centri antiviolenza che, congiuntamente e con irrefrenabile passione, hanno colto l’occasione per abbracciare la vittima e per trarre da quell’abbraccio una ghiotta occasione di autopromozione, attacco politico e demonizzazione dell’uomo in quanto uomo. Cioè a creare proprio quel clima di paura in cui prosperano da anni.
Non è un caso che, fatta sbollire la vicenda, pur dopo essersi tanto appassionate, le stesse associazioni tentino di smarcarsi: piano piano scendono dalle barricate, in punta di piedi, e diffondono comunicati che sono un inno alla supercazzola prematurata, dove fioccano ancora le solite parole d’ordine: violenza, patriarcato, razzismo, fascismo e chi più ne ha più ne metta. Tentano così la difficilissima operazione di dissociarsi da una falsa accusatrice, dopo averla abbracciata stretta, spinte probabilmente da affinità elettive che non potrebbero mai ammettere, pur sapendo quanto sono reali. Sulle false accuse i centri antiviolenza vivono e prosperano. Ogni minima iniziativa disincentivante delle false accuse genera una loro mobilitazione armata (vedasi cosa accaduto con il DDL 735), perché senza di esse e senza una paura diffusa manca loro l’ossigeno. Ecco dunque la corsa alla presa di distanze, dopo aver solidarizzato con il prototipo perfetto delle loro strategie, quello che genera il ben noto 95% di denunce archiviate o finite in assoluzione a carico degli uomini.
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Ebbene, amiche (si fa per dire) della rete delle donne di Grosseto, non vi è consentito di uscire dall’angolo con così tanta facilità e sfacciataggine. Mi scuso se uso una terminologia pugilistica, dunque patriarcale e oppressiva, ma è una figura retorica per rendermi comprensibile (e mi scuso ancora per il #mansplaining). Non è con le supercazzole che affermerete una buona fede che palesemente non c’è. Quello che ora noi esigiamo sono delle scuse. Mi permetto di parlare a nome della stragrande maggioranza di uomini e donne per bene, quelli che non cascano nella vostra propaganda, che non si riconoscono in alcun patriarcato, che non abusano, violentano o maltrattano nessuno, e anche a nome di quelle moltissime persone finite alla sbarra per accuse false o sovrastimate. Ma soprattutto parlo a nome delle vere vittime di violenza che spesso non trovano giustizia perché le loro denunce finiscono nel calderone delle innumerevoli denunce false. E badate che tutto questo non è frutto della fantasia di un blogger fanatico, visto che ne parla con grande chiarezza anche il Presidente dell’Unione Camere Penali Gian Domenico Caiazza e che proprio su questo tema si aprirà l’anno giudiziario dei penalisti italiani.
Insomma, care amiche (si fa per dire), noi vogliamo delle scuse. E le vogliamo ora. Sappiamo che sarà arduo per voi. Sarà come ammettere l’esistenza di qualcosa che nega alla radice la vostra esistenza, ma se avete l’etica e l’afflato ideale che dichiarate di avere, le vostre scuse a tutta l’opinione pubblica sono doverose. In mancanza di esse, si avrà la certificazione inoppugnabile della vostra malevolenza e malafede. Per chi volesse associarsi a questa mia richiesta di scuse con una semplice email contenente il link a questo articolo, qualcosa tipo “Ora chiedete scusa – https://bit.ly/2Scwevi“, questi sono i recapiti delle associazioni protagoniste di questa brutta storia di malanimo e malafede:
- Centro Donna Grosseto: cendonna@gol.grosseto.it (ATTENZIONE: indirizzo preso dal sito internet ma apparentemente non funzionante)
- Centro antiviolenza Olympia: c.antiviolenza@provincia.grosseto.it
- Non una di meno Grosseto: retedelledonne.gr@gmail.com
- Raccontincontri – La libreria delle ragazze: raccontincontri@yahoo.it
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