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Riguardo al patricidio di Monterotondo risulta utile fare qualche ricerca che vada al di là dei resoconti di cronaca su cui i media si sono buttati a pesce. Il solito branco di sciacalli intenti a mangiare i resti del corpo di un uomo pugnalato alla nuca dalla figlia, uniti da un unico intento: condannare e criminalizzare la figura del morto, santificando ma soprattutto assolvendo a prescindere l’assassina. Il tutto con effetti immediati sull’opinione pubblica. I fatti e la logica dicono altro, eppure Deborah viene sempre più descritta come “costretta” a uccidere il padre. L’idea della legittima difesa è lì, immediatamente collegata al furbesco concetto di costrizione. Ed è così che iniziano a piovere in rete manifestazioni di solidarietà umana, espressioni da delirio psichiatrico-femminista e premesse per la santificazione della giovane patricida.
Eppure abbiamo qui un morto ammazzato e dei fatti di contesto non irrilevanti. Aveva rubato? Aveva ucciso? No. Certamente era una persona difficile, tormentata, molesta, materia per i servizi sociali o per le forze dell’ordine. Eppure l’uomo viveva con tre generazioni di donne. La moglie, si dice, da anni non osava denunciarlo perché riteneva che il tribunale le avrebbe tolto la figlia, che però ha 19 anni. Lui non guadagnava, lei si. Nessuno si chiede cosa spingesse le tre donne a vivere con Lorenzo. Perché non sono andate via? Cosa ha impedito loro di denunciare? Non si sa, non se ne parla. La comunicazione pubblica è costruita essenzialmente affinché la nostra compassione e la nostra simpatia vadano a Deborah, senza se e senza ma.
Il solito branco di sciacalli intenti a mangiare i resti del corpo di un uomo pugnalato alla nuca dalla figlia.
Ed è in questo clima che si trova ad operare la Procura competente, quella di Tivoli. Che a poche ore dai fatti si allinea all’opinione pubblica guidata dai media. Deborah viene così scarcerata: si è soltanto difesa da un’aggressione da parte del pericolosissimo padre. Esiste già un esame autoptico che dica se e quanto Lorenzo fosse ubriaco in quel momento? Lo era a tal punto da rappresentare un reale pericolo o non si reggeva in piedi? Quali sono i danni sul corpo causati dalle percosse della figlia? Se di legittima difesa si parla, perché la coltellata non è in pancia o al cuore o alla gola, ma alla nuca? Non è dato sapere se chi ha scarcerato la patricida si sia fatto queste domande e abbia cercato risposte, ma viste le decisioni è facile ipotizzare che no, dubbi del genere non siano sorti. Ed è lecito chiedersi come mai da quelle parti ai giudici non vengano in mente dubbi così ovvi.
Una possibile risposta si ha da alcune recenti notizie, sbandierate come fossero cose normali, di frequentazioni quanto meno discutibili tra la Procura stessa e soggetti più o meno informali del territorio. E’ di non molti giorni fa, ad esempio, un convegno proprio a Tivoli intitolato “Vittime di reato. Mai più sole”, organizzato unitamente dalla Procura locale e dalla ASL Roma 5. Commistione poco opportuna, quanto meno: le Procure dovrebbero tenersi fuori da collaborazioni del genere. Non sarebbe imbarazzante se i giudici si trovassero un giorno per le mani prove di malversazioni, corruzioni o nepotismi in seno alla ASL? Come indagare e perseguire soggetti insieme a cui si organizzano convegni? Ma siamo in Italia, dunque transeat.
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All’incontro ha partecipato niente po’ po’ di meno che il Procuratore Generale di Roma Giovanni Salvi, presente per introdurre all’universo mondo l’opuscolo “Mai più sole”, una guida predisposta (attenzione bene): “dalla Procura della Repubblica di Tivoli con la collaborazione di Differenza Donna onlus“, ossia un noto centro antiviolenza locale. Un’associazione qualunque, che opera con soldi dello Stato senza essere soggetta ad alcun controllo pubblico, senza obblighi di rendicontazione, esentata da qualsivoglia verifica o monitoraggio. Non solo, nello stesso convegno si è presentato il “Protocollo d’intesa per la realizzazione di un sistema integrato di protezione delle vittime di reato, in condizione di particolare vulnerabilità e di violenza di genere”, sottoscritto proprio dalla Procura di Tivoli.
Colpiscono le dichiarazioni di Francesco Menditto, Procuratore della Repubblica di Tivoli (i corsivi sono miei, N.d.A.): “uno dei principali doveri istituzionali che la Procura della Repubblica di Tivoli ritiene di perseguire, senza cedimenti, è quello della tutela dell’inalienabile diritto universale delle donne ad una esistenza libera dalla violenza. Per rendere concreta ed effettiva questa tutela è necessario che le porte dei nostri uffici siano sempre aperte all’ascolto delle donne che vi entrano per denunciare una qualsiasi forma di violenza: fisica, morale, sessuale, psicologica, economica. La fiducia in una risposta giudiziaria, senza stereotipi e pregiudizi, deve essere una priorità perché la violenza si contrasta rendendo l’accesso alla giustizia libero ed effettivo. Lo impongono la Costituzione, le istituzioni sovranazionali e le loro convenzioni. Le donne che subiscono violenza devono sapere che le informazioni che trovano in questo opuscolo, a loro dedicato, sono frutto del lavoro di persone che conoscono come avviene lo sviluppo della violenza di genere e l’omertà del contesto (culturale, sociale, familiare, professionale, ambientale) che spesso lascia le donne sole e le induce a tacere. La Procura della Repubblica di Tivoli, con l’aiuto anche della Regione Lazio, della Asl e di Differenza Donna, che hanno collaborato alla realizzazione di questo opuscolo, vuole diventare un luogo di sicurezza per le donne perché le istituzioni non possono e non devono consentire la violazione del loro diritto a un’esistenza libera”.
Lascia senza fiato. Sembrano parole scritte da Laura Boldrini (per altro proprio oggi in visita al centro antiviolenza “Differenza donna”, guarda caso) o Michela Murgia più che da un Procuratore della Repubblica. C’è la determinazione fanatica del suprematismo femminista (“senza cedimenti”). C’è la declinazione delle tipologie di violenza ripresa pari pari dagli stilemi di Ro$a No$tra (“fisica, morale, sessuale, psicologica, economica”). C’è il riferimento alla Convenzione di Istanbul, ma soprattutto c’è la delega in bianco, là dove dice che l’opuscolo è stato scritto da gente che sa cos’è la violenza contro le donne. Loro, i giudici, non lo sanno, dunque lasciano il tema ad altri. Alle associazioni informali e fuori controllo di cui sopra, ben dotate di soldi pubblici. In quella parte si cita ancora “Differenza Donna”, ma soprattutto una delle principali fonti di risorse economiche: la Regione Lazio. Sì, proprio quella dei manifesti sessisti per cui noi, che abbiamo osato contestarli, siamo stati schiacciati come moscerini da una giudice che vive e lavora proprio in quel contesto culturale e giudiziario.
Frequentazioni quanto meno discutibili tra la Procura e soggetti più o meno informali del territorio.
Tout se tient, dicono in Francia: tutto si lega. Liaisons dangereuses, dicono anche: legami pericolosi. Questo è ciò che appare oggi nel circuito Roma-Tivoli che coinvolge gangli fondamentali della gestione della vita pubblica: ente regionale, ASL, Procura. Soggetti che non dovrebbero sfiorarsi nemmeno per sbaglio, restare separati, indipendenti, con i giudici in particolare pronti a controllare gli altri. Invece si mescolano e collaborano, con un direttore dei lavori chiamato “Differenza Donna”, collettore di denaro pubblico di cui si sa perfettamente l’origine (le nostre tasche) ma non la destinazione. E chi avrebbe il dovere di indagare a fondo proprio su quella destinazione siede invece al loro fianco nei convegni, ci collabora, si fa dettare le linee di condotta per specifici reati quando si ritiene siano stati commessi da uno specifico genere di persone, e si fa penetrare così tanto tanto da far parlare un Procuratore Generale come se fosse una Natalia Aspesi o una Nadia Somma qualunque, con tanto di passerella esplicativa oggi a “Mattino 5”.
In questo clima e in mano a queste persone è finito il caso dell’omicidio di Lorenzo Sciacquatori, uomo, per mano della figlia Deborah, donna. Il primo forse (chi lo sa? Qualcuno verificherà?) troppo ubriaco per essere realmente pericoloso, sebbene notoriamente violento. Ma non abbastanza da indurre tre donne a denunciarlo presso una Procura così accogliente verso le portatrici di cromosomi XX e così ostile verso i portatori di cromosomi XY. La seconda, abile boxeuse, che davanti ai giudici ringrazia il padre appena soppresso per averle insegnato la boxe con cui l’ha messo KO, e che “per difendersi” pianta un coltello nella parte posteriore del corpo della persona che la stava aggredendo. Forse Lorenzo Sciacquatori era letale nel boxare all’indietro, chissà. Ciò che si sa, e lo vedremo di nuovo anche domani per altre vicende (QUI), è che tra Roma e Tivoli oggi essere donna o “amici delle donne” è un gran bell’affare. Sotto tutti i profili con cui si può intendere la parola “affare”. Ed è ben noto che questo intreccio indebito di fili, dita di Mangiafuoco e marionette va anche molto oltre i confini di Monterotondo, Tivoli, Roma e dintorni. Ha dimensioni nazionali. Ma la cosa peggiore è che chi dovrebbe scardinarlo appare essere sempre più un ingranaggio strutturale del meccanismo.
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